Al netto degli sponsor indebiti,
dei visitatori da fiera gastronomica,
delle scolaresche annoiate,
degli anziani incattiviti,
dei turisti storditi,
dei fanatici dei selfie,
e al netto delle code,
del vociare costante,
della musica techno,
del cibo spazzatura,
della disorganizzazione generale,
di Expo 2015, Milano,
all'attivo resta molto.
Gli occhi dei fratelli lontani quando incrociano i nostri,
i volti pensosi degli studenti nel Padiglione Zero,
la fatica dei docenti nello spiegare e fare capire,
i sorrisi dei volontari disponibili ad aiutare,
lo zoppicare degli anziani determinati a vedere,
l'andirivieni incessante dei passi sul decumano,
lo spalancarsi degli sguardi davanti all'albero della vita,
l'annusare spezie, profumi, odori, che nessuna virtualità, mai, riuscirà a rendere interi.
E le architetture ardite, partorite dalla mente umana,
le luci della sera che accendono il luna park del mondo,
le iperconnessioni e i rimandi e il libero gioco dell'intelletto,
la storia dell'uomo, mirabilmente simile ovunque, a qualunque latitudine, in qualunque tempo,
la fantasia e la creatività nel costruire i percorsi,
gli oggetti piovuti da ogni parte del mondo, frutto delle mani di uomini e donne lontani, eppure vicini.
Siamo uno, ma non siamo gli stessi, e dobbiamo sostenerci a vicenda.
Quanti
siamo.Quanta dignità abbiamo.
Tutti lavoriamo. Amiamo. Soffriamo.
Esprimiamo la nostra gioia
e la nostra pena di essere vivi.
Creiamo arte, bellezza, cibo, cultura, emozioni.
Forgiamo sogni, che spiccano il volo dalle nostre mani, e arrivano dove mai avremmo osato.
Perché
siamo api operaie, tutte. Anche quelle che pensano di essere regine.
E,
quando finiremo noi, finirà questo grumo di acqua terra sangue e idee
che chiamiamo mondo.
Intanto, continuiamo questo sogno che chiamiamo vita.
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