martedì 17 febbraio 2009

dantaranta




glielo faccio vedere senza presentazioni,
ché saetta previsa vien più lenta,
e quindi fa meno male,
e non voglio che faccia meno male.

la saetta colpisce,
con tutto il suo potenziale esorcistico,
ipnotico,
esoterico,
mitico.

poi, chiaro, gliene parlo:
e parlo del ritmo, che vuol dire numero,
e della perfetta metrica dantesca,
le benedette terzine incatenate, dal sapore popolare,

popolare e rituale insieme, come solo quello che viene dal medioevo sa essere.


e parlo del degre, logico

(qualcuno non lo conosce, ahi serva italia)

e di bob dylan, della comune ricerca delle radici della musica,

e di sparagna, la cui ricerca delle radici è diventata poi, (forse) suo magrado, un affare salentino.


ma parlo anche della scelta dei brani, che si intrecciano fra loro, anche se provengono da canti e cantiche diversi, scelta tanto più significativa, quanto più cuce insieme il tessuto del poema.

de gregori è stato bravo, dico, a scegliere le terzine: a suo modo, ha riletto dante, aprendo la cassaforte con un'altra chiave.


i clandestini hanno mal di mare, ci giurerei:

forse qualcuno pensa con nostalgia a quando credeva che la musica_moderna e la storia_della_letteratura facessero a pugni.


certo, era più comodo, pensarla così,

comodo e falso, come tutte le cose comode.

ho tempo tre anni per fargli passare il mal di mare.


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