glielo faccio vedere senza presentazioni,
ché saetta previsa vien più lenta,
e quindi fa meno male,
e non voglio che faccia meno male.
la saetta colpisce,
con tutto il suo potenziale esorcistico,
ipnotico,
esoterico,
mitico.
poi, chiaro, gliene parlo:
e parlo del ritmo, che vuol dire numero,
e della perfetta metrica dantesca,
le benedette terzine incatenate, dal sapore popolare,
popolare e rituale insieme, come solo quello che viene dal medioevo sa essere.
e parlo del degre, logico
(qualcuno non lo conosce, ahi serva italia)
e di bob dylan, della comune ricerca delle radici della musica,
e di sparagna, la cui ricerca delle radici è diventata poi, (forse) suo magrado, un affare salentino.
ma parlo anche della scelta dei brani, che si intrecciano fra loro, anche se provengono da canti e cantiche diversi, scelta tanto più significativa, quanto più cuce insieme il tessuto del poema.
de gregori è stato bravo, dico, a scegliere le terzine: a suo modo, ha riletto dante, aprendo la cassaforte con un'altra chiave.
i clandestini hanno mal di mare, ci giurerei:
forse qualcuno pensa con nostalgia a quando credeva che la musica_moderna e la storia_della_letteratura facessero a pugni.
certo, era più comodo, pensarla così,
comodo e falso, come tutte le cose comode.
ho tempo tre anni per fargli passare il mal di mare.
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