Cominciamo dalla fine:
Quando scrivo le mie storie, mia mamma mi consiglia sempre di avere ben chiaro dove voglio andare, come voglio finire. Credo proprio che quelli che hanno montato "Springsteen and I", il film che sono andata a vedere lunedì con mia mamma e mio fratello e altri amici, abbiano avuto bene in mente questa regola, perché io ho capito tutto quando ho visto la fine.
All'inizio, non capivo tanto perché, di tanti spezzoni che i fans di tutto il mondo avevano mandato per fare il film, avessero scelto proprio quelli. Ce n'erano alcuni molto tristi, come quello del bambino quasi costretto dalla mamma a farsi vedere e dire che gli piace Bruce, mentre la mamma ha una cucina tutta in disordine, che si capisce che non gli fa da mangiare per sentire Bruce (io lo chiamo Bruce, è più corto e mi sembra di conoscerlo meglio, così), oppure quello della mamma (un'altra mamma, sembrava che ce l'avessero con le mamme...), che fa ascoltare solo Bruce e niente Disney in macchina ai suoi bambini (la mia mamma mi ha fatto ascoltare anche Disney, adesso però che ho quasi tredici anni, sono io che le chiedo Bruce, e ieri le ho chiesto di fare un giro più largo in macchina per fare finire Working on the highway...), o quello che guida e si autocommuove mentre guida (certo, diceva cose belle della sua famiglia, ma alla fine, autocommuoversi, non ci ha fatto una bella figura); il peggio, una signora tutta rossa in faccia che parlava di essere stata sollevata nel bel mezzo di Jungleland e portata sul palco (e anche a me Jungleland piace tantissimissimo, la vorrei tanto ascoltare in un concerto, ma mica mi immagino di essere sollevata su...).
Insomma, non capivo perché, fra tanti spezzoni belli, di gente brava, che dice cose anche intelligenti (ne conosco anche io, di gente così, che segue Bruce ed è anche intelligente), che di sicuro avevano mandato per il film, quelli avessero scelto anche spezzoni sciocchi, di gente fanatica, come dice la mamma, e io so che fans vuol dire fanatici, ma c'è un limite a tutto...
Non che ci fosse solo quel tipo di spezzoni: c'era anche Bruce, nel film, un Bruce che non avevo mai visto: giovane! Ho capito che era stato giovane anche lui, e cantava diverso da adesso, più brillante, come se la vita non gli fosse passata sopra, ma ne avesse solo paura. E tenesse lontana la paura cantando di fede, di forza, di terra promessa, di amicizia e di amore. Ho visto Bruce di tredici anni fa, invece, l'anno in cui sono nata io, che canta Blood brothers, prende le mani di Clarence, che però non aveva lo smalto come a Torino, e di sua moglie, e canta con le lacrime agli occhi, e si vede che la vita gli è passata sopra e dentro, eppure crede ancora nelle stesse cose. Ho visto Bruce come l'ho visto io l'anno scorso, che mi ha presa in braccio ma questa è un'altra storia, il grande amico di tutti, che sa come funziona la vita e te lo spiega con un sorriso, che non vuol dire 'prendila facile', ma 'va bene così, non importa che tu sia bravo o no, sciocco o saggio, tu fai del tuo meglio, e va bene così'.
Non che ci fosse solo anche Bruce: c'erano persone con storie forti: una camionista laureata che lavora in Arizona e mette su Nebraska, forse per avere fresco nel cuore, e pensa che Bruce le ha insegnato che va bene così. Una coppia che non ha i soldi per vederlo in un concerto, ma canta e balla in cucina, perché ha capito che va bene così. Un'altra coppia che mette via i soldi e va in un teatro grande a New York, ma è in fondo in fondo, però arriva uno che li porta davanti davanti ( e io ci credo che succedono queste cose, a noi è successo a Torino). Una ragazza che scrive una lettera che sembrava scritta da noi, tanto che era giusta. Un marito che vuole così bene alla moglie che ride del fatto che Bruce fa concerti lunghi e lui li vorrebbe più corti perché non gli piace tanto (e lì non sono d'accordo, che a San Siro invece piangevo perché per me era già finito).
Insomma, mentre lo guardavo, capivo che il film, più che un film con una trama, era qualcosa come uno di quei puzzle che mi regalavano da piccola: che all'inizio è un gran caos, e ci sono pezzi brutti che sembra non vogliano dire niente, e poi invece, lentamente, si capisce che anche loro sono importanti come gli altri, perché aiutano a far prendere forma al disegno.
E il disegno è diventato chiaro alla fine. Bravi, quelli che hanno montato il film.
Qualche persona ha incontrato davvero Bruce nel camerino prima di un concerto. E lui era esattamente come lo descrivevano loro prima: un amico, un compagno buono, uno di quelli che ti sanno dare l'abbraccio al momento giusto e ti tirano su di morale perché ti dicono 'va bene così, non importa se sei fanatico intelligente emozionante squallido brillante povero ricco bravo imbranato bello brutto. Io ci sono anche per te. E la tua vita è unica, per me'.
A un ragazzo che lavorava in quello stadio, e che avrebbe pulito tutto dopo il concerto, Bruce ha messo attorno al braccio un braccialetto di cuoio: "questo è un segno di fratellanza", gli ha detto.
E' stato lì, che il film è finito. E' stato lì, che ho capito. Blood brothers. Lui, Clarence, Patti, il ragazzo, la camionista, il marito stanco, la signora esaltata, gli operai, la mamma fanatica, la mia mamma, io.
Già: che significa per me Bruce in tre parole? Fiducia. Personalità. Coraggio. Quello che voglio avere io.
tutto molto vero, tutto molto giusto!
RispondiElimina"Viva Bruce", viva la vida e viva las vegas! A me è piaciuto molto il finto Elvis... :)
... e va bene così...
complimenti per il blog e per questo post "on topic"
Blood Brothers!
grazie! non so se sia giusto...di sicuro per me è vero! :-)
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