Erano giorni sospesi e incantati, presi in scacco fra sogno e ipotesi, con la realtà che si faceva strada fra i dubbi e le sicurezze.
Erano giorni di amicizie, e radio a scandire il sottofondo delle nostre emozioni, radio libere, ma libere veramente, e in mezzo noi, e i nostri discorsi pesi o leggeri, l'impegno e il solco di una coerenza solo immaginata.
Erano giorni di musica, nuova, che veniva da lontano, che più lontano non si poteva. La chiamavano West Coast, ed era così sorprendente seguire il fratello Jackson che cantava i tuoi stessi dubbi, e le paure, e le emozioni, così sorprendente, che ti chiedevi come diavolo riuscisse a leggerti dentro, lui, a così tanti chilometri di distanza. A leggere l'inespresso desiderio di appartenere a un solo, grande mondo, a una sola, profonda umanità, a un solo, inquieto modo di essere, di vivere.
Erano giorni di pensieri, di aperture a prospettive inedite, e a quella voglia di cambiare tutto, che hai voglia a dire che ce l'hanno tutti i ventenni, ma no, non credere, quei ventenni ce l'avevano più degli altri, perché sapevano di avercela prima di tutti gli altri.
Erano giorni di amore e di abbandoni, di magie e di semplicità, di incanto e di mistero. Giorni di una strada tutta da consumare e vivere.
Vieni qui, figlia, che ti porto ad ascoltare Brother Jackson.
Forse, al primo accordo, capirai cosa sono stati, quei giorni.
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