Mio padre e mio zio erano credenti, cattolici e praticanti. Così mia madre, tutti e quattro i miei nonni, tutta la mia famiglia. Non credo che qualcuno di loro abbia mai votato PCI o simili. Eppure, ricordo con chiarezza i loro racconti del 24 e del 25 aprile. Accanto alla pietà per come erano stati trattati i cadaveri di Mussolini e della Petacci, e alla lucidità con cui parlavano delle donne fasciste rasate a zero, c'è un valore che nessuno di loro ha mai messo in discussione: l'antifascismo, che si accompagnava sempre, nei loro racconti, al ricordo del sollievo per la fine di un ventennio di ordine, disciplina, pulizia e rigore, ma in cui mancava l'ingrediente principale per una vita dignitosa: la libertà. E, con essa, la solidarietà, la partecipazione, il dialogo, l'ascolto del prossimo.
Devo questo tipo di mio antifascismo a mio nonno Francesco, operaio in Ticosa, che ha sempre rifiutato di prendere la tessera del PF; a mio nonno Eugenio, imprenditore, che ha rifiutato di fare affari coi tedeschi; a mia nonna Margherita, maestra, che faceva leggere il Vangelo nelle pagine delle Beatitudini (beati gli operatori di pace...); a mio zio Emilio, salito in montagna a fare il partigiano; a mio zio Antonio, marinaio a Supermarina e disertore.
Devo a loro la mia educazione al rispetto. E credo ancora che l'antifascismo non abbia colore ideologico, ma un solo colore etico: quello della radice profonda dell' Humanitas, che cerco di realizzare in ogni momento della mia vita, non solo il 25 aprile.
Homo sum: humani nihil a me alienum esse puto.
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