mercoledì 2 settembre 2009

da est a ovest: irlanda


per ogni viaggio di vera scoperta si va da est a ovest, a vedere dove l'orizzonte finisce, a scoprire l'arancione eterno che ribalta il grigio della terra.
e verso ovest si arriva dal mare, qualche volta, la luce sul mare atterrando su dublino lo ricorda, e ricorda i tempi in cui il mare, qui, non c'era, e i celti si sono fermati nella loro marcia perché oltre non si poteva andare.

oltre partivano e non tornavano, e allora tanto vale fondare qui una civiltà, dei miti, degli eroi, una lingua. misteriosa e gutturale. viva. gaeltacht. nel donegal, nel burren, nel connemara, ci sei dentro, le scritte lo indicano, le scritte non parlano l'inglese dei nuovi conquistatori, quelli che si sono presi i green fields e le donne e i costumi e tutto.

e lo scenario è altrettanto misterioso e vivo. landa, pecore a punteggiare il verde, mucche e cavalli, e, vicino all'oceano, solo pecore, e capre, che si avventurano a sfidare strapiombi sulle scogliere, e riposano sul ciglio di strade strette e veloci.
e le case sparse ovunque nella campagna, torba e muschio, e rari cespugli, vento, nuvole, e l'oceano che respira, altamarea, bassamarea, seguendo il ritmo della luna, anche quando la luna non si vede, finché questo mondo durerà.

scogliere e baie, anfratti e penisole, colori di fiori visti solo sui libri, ma più accesi di un qualsiasi ritocco di photoshop. il cielo cangiante a sottolinearne la forza, il mare ad adeguarsi a quella forza. la forza della natura.

una fede che qui sembra vissuta davvero. sembra che la forza di san patrizio che scaccia i serpenti, che scala il kroagh, converte e vince, sia rimasta fra la gente, indurita dalle intemperie del tempo e dei tempi, ma calda di vita. e fede nella forza della condivisione, dell'amicizia; della musica, che è condivisione e amicizia. le storie della musica qui parlano di lontananza, partenza, emigrazione, povertà, soprusi, ma anche di speranza, amore, gioia, promessa. in un equilibrio sul filo dell'ironia e della tragicità, che permette di fuggire la retorica. quello che fa grande questa musica; quello che fa grande questo popolo.

e poi il cielo; insieme al verde, l'elemento naturale più ricco e cangiante. le nuvole rincorrono il vento, obbediscono al suo ritmo, ci fanno l'amore, respirano con lui, più potenti del sole di giorno, o della luna di notte. il cielo porta una pioggia fine, o piccoli spruzzi, o violente docce d'acqua, o getti a più direzioni. ma porta, subito dopo, una lama di sole che taglia in due l'oceano, o un pennello di smalto che vivifica il verde, ma anche i sorrisi della gente. a ricordare che è vita anche questa, anzi, soprattutto questa: pioggia e sole, ma soprattutto vento.

martedì 1 settembre 2009

hallelujah


un pub di legno chiaro, diventato scuro con gli anni e con l'alito di guinness e fumo degli avventori.
un pub di doolin, di fronte all'atlantico.
un pub di sera d'agosto irlandese: dentro, caldo e rumore; fuori, un enorme vaporizzatore che spruzza una nebbia fina e bagnata, che non si sa se venga dal burren o dall'oceano, ma che cir_confonde idee e corpi.

un pub in cui pullman voraci scaricano frotte di giovanotte australiane o di pensionati tedeschi.
un pub con due violini e due chitarre e tanta musica, anche se le giovanotte e i pensionati sembrano essere più interessati alla birra o al whisky o a tutti e due.

poi, in mezzo alle chitarre e ai violini, si siede un uomo, capelli e barba bianchi, e l'aria di chi sa.
canta una canzone su una donna che aveva figli coraggiosi come il loro padre, che hanno lottato per quattro prati verdi.
una a una, le bocche di tutti si chiudono. ancora qualche distratto chiacchiera, sordo più dentro che fuori, chissà.

però poi l'uomo intona 'hallelujah'.
e tutto il pub tace.
forse le australiane la conoscono per shrek, forse gli altri pensano sia un inno di chiesa.
però il silenzio è totale, e 'hallelujah' risuona da tutti i tavoli, da tutte le bocche ebbre di whisky o di guinness, cuce insieme corde vocali irlandesi tedesche francesi italiane americane australiane spagnole, e sembra posarsi sui boccali vuoti, tracimare oltre il pub, mescolarsi al vapore bagnato, correre col vento oltre l'oceano, e finire in canada, là, di fronte, per tornare da dove è partito, nella tower of song, dove vive da sempre e per sempre.
riportando tutto a casa, insieme al 'grazie' e all''alleluia' di tutti per essere lì, per essere in quel pub, per esserci in quel momento, per essere vivi.

lentamente, l'uomo si alza, e, arrancando con dignità sulla sua gamba e sulle sue stampelle, esce dal retro, perdendosi nel vapore.
portando con sé la sua voce. però. e tutta la magia dell'irlanda.