martedì 14 dicembre 2010

li romani in russia


" se i giovani d'oggi, oltre a studiare la chimica o il greco, sapessero raccontare la storia dei loro nonni, si assisterebbe a una piccola rivoluzione culturale'.

questo è scritto qui:
http://www.liromaninrussia.it/

ma qui c'è una presentazione dello spettacolo:

http://www.tg2.rai.it/dl/tg2/RUBRICHE/PublishingBlock-4d179a82-04c1-4164-856b-2afc28c38206.html



e va tutto bene. giusto sapere i dati, le motivazioni, i nomi, le date.

ma quello che non si trova nella rete vale di più di quello che si trova.
quello che non si trova nella rete è una serata fredda, che anticipa il natale, in cui le persone rischiano di diventare 'la gente chiusa in casa davanti alle televisioni'. in cui la stanchezza e la pigrizia (anche mentali) rischiano di giocare un brutto tiro all'intelligenza.

e invece no. si resiste alla tentazione, come per un dovere con se stessi. e si esce.
nel teatro le persone restano uomini, donne, ragazzi. non sono più la gente indistinta e vulnerabile dei televoti. tornano esseri pensanti, pronti a lasciarsi interrogare, di nuovo, dalla storia, che bussa alla loro porta, che chiede ascolto, che emoziona e rende vivi.

il racconto di elia marcelli è potente anche da solo, con quelle ottave dal ritmo epico, con quella lingua scintillante, in bilico fra la più alta tradizione dei cantari e il filo indissolubile che lega la poesia al popolo.
ma il racconto scenico aggiunge molto di più.

cristicchi e benvenuti danno spessore alla voce di un uomo che ha visto e vissuto la storia scottandosi indelebilmente, sporcandosi la vita con ricordi incancellabili, cercando spiegazioni impossibili, portando dentro gli occhi visioni inimmaginabili, in un inferno personale che di certo non si è esaurito col ritorno alla normalità, ma che, anzi, si è dilatato all'infinito, come accade a chiunque sia stato dove l'uomo non dovrebbe essere mai: nello spazio indicibile ed assurdo della guerra.

cristicchi è solo in scena, e si fa possedere dalla voce di elia, uno dei pochi superstiti dalla ritirata di russia. ma è evidente che, dentro quella voce, così riconoscibile, così romanesca, così popolare, stanno nascoste le voci senza suono di tutti i morti, i dispersi, i ragazzi che un potere follemente miope mandò a morire, in quell'anno sciagurato.

la faccia lunare e drammatica dell'attore non perde niente della sua individualità. persino i capelli, gli occhiali, sono gli stessi dentro e fuori scena. solo 'i panni sudici di guerra', come quelli di ungaretti ne 'i fiumi', sono quelli dell'esercito del tempo. perché chi parla vuole che ciascuno di noi lo riconosca, contemporaneamente, dentro e fuori dalla scena. perché chi parla vuole che ciascuno di noi riconosca in lui la presenza dei tanti, dei troppi, uomini, che, in ogni epoca, hanno perso la vita in guerra. e si riconosca fratello di ognuno di quei morti, da qualunque parte fossero morti.

quello che non si trova in rete è il silenzio raccolto ed emozionato. è l'eco degli applausi che sciolgono il gelo del cuore alla fine del racconto. è una collana di pensieri di vita, al termine di uno scenario di morte.
è il viso di mio figlio che mi dice 'grazie perché mi hai dato l'opportunità di vedere la storia'.