venerdì 24 gennaio 2014

Lario



Io sono il lago.
Io ho un nome di maschio. Ma sono pieno di acqua, che è femmina.
Io ho un nome di aria. Lario in greco vuol dire gabbiano. Ma sono in bilico fra terra e acqua. Fra monti e onde.
Io sono il Lario, che vola al contrario. E vola da una sponda all’altra, da un paese all’altro, nastro liquido, che separa e unisce.
Io sono il lago di confine, di ghiacciaio, di un Nord che ospita, include, cambia e accoglie.
La mia origine si perde nelle ere, ma la mia vita palpita nel cuore di ogni pesce che mi abita, nel respiro di ogni abitante delle mie sponde, nei riflessi di ogni sasso che trascino con me, in una danza infinita e sfinita.
Lecco le squame dell’agone, accarezzo l’occhio del pigo, cullo la grande testa del cavedano. E intanto gli canto una nenia che conosco da millenni. Loro si fidano, si addormentano. E sognano parole, che ogni tanto qualcuno mette in musica.
La Breva che mi fa il solletico sposta le foglie del salice proteso su di me, pettina i capelli della donna che sale sul battello,  increspa le rughe del pescatore che butta dentro di me le sue reti. E io, ridendo, gliele riempio, le sue reti, e gli insegno la generosità che nasce dalla pace.
Quando la nebbia mi chiude gli occhi, quando la notte mi copre con un lenzuolo nero, è allora che mi guardo dentro, e vedo da dove vengo, dove vado. Invento storie, e le sparpaglio nei sogni della gente che mi abita, perché le possano raccontare come se fossero le loro.
Quando il sole torna a splendere, allora riprendo il mio nome, volo nel cielo, e mi ci specchio dentro, colorandolo di verdazzurro.
Non importa come mi chiamano. Io sono maschio e femmina, antico e nuovo, aria, acqua, terra. Sono pesce e sasso, foglia e uomo.

Io sono te.