martedì 19 dicembre 2017

Matteo, 25

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?  Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?  E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?  Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.  Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.  Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna.


A vent'anni, si è stupidi davvero.
A vent'anni, due volte la settimana, andavamo all'Ozanam, in Via Napoleona, a stare un po' con i barboni. Ché trent'anni fa si chiamavano barboni, e basta.
C'era Filippo, figlio della Como bene, che un giorno era passato fuori e aveva deciso di bersi tutto. E i suoi lo avevano cacciato.
C'era Mario, disoccupato, silenzioso e dignitoso.
C'era Omar, diplomato, il primo migrante che avessimo mai visto, che cercava lavoro fuggendo da un Ghana in guerra.
C'era Salvatore, il terrone, dalla vita che definire turbolenta era un complimento, barbone per scelta, per vocazione, libero e schietto.
Stavamo lì, distribuivamo la cena, ma soprattutto chiacchieravamo con loro.
Afrore di dopobarba economico, di sudore e di chiuso. Di zuppa e di fumo.
Sguardi vitrei e pelle rubizza.
Uomini, ché le donne lì non entravano, e quelle che c'erano, le volontarie, vestivano con pantaloni e maglie informi, non si sa mai.

A vent'anni, credevamo in un mondo migliore. Aspettavamo il cambiamento, lo esigevamo, anzi, e volevamo farne parte.
Quelle due sere all'Ozanam facevano parte del cambiamento. Ci credevamo tutti; forse loro no, ma noi, i volontari, sì.
Qualcuno ce la faceva. Omar usciva, diventava infermiere, condivideva una stanza con tre suoi amici.
Qualcuno no. Filippo, ostinato e ottuso, si beveva tutti i soldi che gli davamo.
Ma noi c'eravamo. Non ci importava se loro si bevevano tutto, se si impegnavano a ricostruire la propria vita, se ci ingannavano. Noi c'eravamo, e tanto bastava per credere in un mondo migliore, in una società giusta, in una pace con la nostra coscienza e con l'anima del mondo.

A vent'anni, non conoscevamo il buonismo. Conoscevamo solo la bontà.
Non sapevamo di sinistra e destra. Sapevamo solo la giustizia.
Non consideravamo un uomo in base alla sua provenienza. Per noi, era un uomo, e tanto bastava.

Sono felice, sì, felice, di aver vissuto allora i miei vent'anni a Como.
E provo vergogna, sì, vergogna, di vivere i miei cinquanta a Como.