sabato 12 dicembre 2015

Keep the light

Ci sono andata perché non ne ho mancato uno. Ci sono andata perché ero in missione. Ci sono andata perché il Light of Day mi riempie di gioia ogni volta.
Ci sono andata perché lì sapevo di essere a casa, di vedere facce simpatiche, di quelle che ogni tanto incrocio sui social, ma che dal vivo sono immensamente più ricche, di umanità vera, di sincerità e di energia.
Perché sui social si può scrivere, rileggere quanto si è scritto, premere il tasto invio, e poi anche modificare quello che c'è scritto. Mentre dal vivo non esiste il tasto modifica, si va in presa diretta, il tasto invio è nella dimensione del qui e ora. E le urla escono, le risate esplodono, le lacrime e i brividi galleggiano come i pensieri senza emoticon.

Ci sono andata perché dovevo tornare a casa con due autografi per una persona che amo.
Ma sono tornata a casa con la magnifica sensazione di essere stata nel posto giusto, nel momento giusto.
Una vera amica mi ha invitato nel suo bar, e da lì dispensavo birre e sorrisi, saltelli e canti, e vedevo facce beate, sentivo i miei amici cantare e battere le mani, e a un certo punto non ho visto più niente, perché tutti erano in piedi, alcuni sul bancone, ed era stupendo non vedere, ma sentire tutta quella energia che circolava liberamente.


Ho ascoltato una versione in dialetto di The Ghost of Tom Joad, mi sono incantata di fronte a una Hold on densa di significato, ho saltato su One Guitar. Ma soprattutto, ho percepito la forza che solo un live sa e può dare: una condivisione con tutti i cinque sensi.

Ci sono andata, e ci tornerei. E ci tornerò, nel pensiero, ogni volta che penserò di averlo solo sognato, un mondo così.