lunedì 31 dicembre 2012

consuntivi e preventivi

dicono che si faccia così, alla fine dell'anno.
ma non amo i consuntivi. alla fine c'è sempre qualcosa da pagare, nei conti.
e quest'anno ho pagato molto, credo. e non solo economicamente.
preferisco i preventivi, i progetti, le previsioni, i prefissi.

nel preventivo di quest'anno ci sono:
più tempo per i figli e per chi amo;
più libri;
più litigate con mia sorella, per il gusto di salire di un piano e ritrovarla lì;
più dita sulla tastiera, qualunque cosa sia;
più, ancora più pensieri per chi non c'è più;
pensieri più delicati per chi c'è ancora;
più musica, ancora più musica, una gioia che cresce con gli anni;
più sorrisi, comunque, ma non a chiunque;
più grazie, e meno perfavore.

il nuovo anno mi trova con la schiena dritta, lo sguardo fermo, fisso davanti a me. pronto a fare del preventivo un anno.

buonanno.

domenica 25 novembre 2012

la vastità

Alessandro Bergonzoni non ci sta dentro, proprio no.
Ha lo sguardo che tracima, la falcata che deborda, la gestualità che esonda, la parola che sconvolge, la voce che travolge, e avvolge nelle spire di una mente inesausta.
Visionario? magari, fosse solo visionario.
Visionario, lo definiscono quanti temono la sua chirurgia etica ed estetica. Così, sperano di catalogarlo e rubricarlo sotto la voce 'sogno'.
Invece, Alessandro Bergonzoni non ha un sogno. Ha un bisogno, un sogno doppio, uno per sé e uno per gli altri: un'umanità libera di pensarsi pezzo di Dio.
Invece, Alessandro Bergonzoni è concreto. Tangibile. Dirompente. Non ci sta dentro, perché non ci sta, a de_finire le idee. Non sopporta di vederle finire, le idee. Lui le ama, le idee, con passione devastante, e dà loro forma, falcata, sguardo, voce, parola.
Ci gioca, anche, con le idee, e con le parole che vestono le idee. Le prende, le lascia, le spezza, le unisce. Prende la punteggiatura, e la sposta, la smonta, la rimonta. Prende le immagini nate dalle parole e dalla punteggiatura, e le combina, le scombina, accorda e disunisce.
Prende la piuma d'oca della sua intelligenza, leggera e resistente, e solletica il nostro cervello, reso molle dai cattivi maestri. Il nostro cervello sussulta, si sveglia, si (ri)accende, ride. Ridendo, capisce, scava, scava, scava, e si stupisce.
Perché, scavando, non raggiunge mai il fondo. E invece tocca qualcosa di importante, impalpabile, energico, vitale, infinito, eterno: la sua vastità.
Alessandro Bergonzoni prende il nostro cervello, lo fa ridere per ore, e per ore anche dopo, quando lui ha smesso di tracimare, perché, ormai, il cervello ci ha preso gusto, a pensare, e lo fa anche da solo.
E, sconfinando nella sua vastità, ne scopre l'immensa forza.

scolapasta

non è un casco
è uno scolapasta
è una scuola_pasta
è pane, e latte, frutta fresca e acqua
è il gusto delle cose semplici
è la forza delle idee

non è un casco
non è contro
è per
è per il futuro
è per l'energia positiva
è per l'amore del sapere

non è un casco
è uno scolapasta
scola_la_pasta
e prepara un convivio
e prepara una comunità

ci vuole tempo
e cura
e sogni
e soldi
e sincerità

e pensieri.
scuola è pasta.
da mangiare
da condividere
da cucinare.
per chi ha
ancora
appetito.

martedì 6 novembre 2012

dettagli

quando esco la mattina, e trovo una nuvola appesa sulla mia testa
quando entro nel letto fresco di bucato
quando la radio suona ragtime
quando leggere dante fa increspare la fronte di chi ascolta
quando il mazzo di fiori sulla tomba dei miei genitori si compone in armonia
quando l'occhio di mio figlio guarda aldebaran attraverso il suo cannocchiale
quando mia figlia si annoda una sciarpa rosa attorno al collo
quando un musicista guarda nel vuoto mentre suona
quando un amico starnutisce vicino a me, e gli dico salute
quando spalmo la marmellata di mirtilli sulla fetta biscottata
quando schiaccio i tasti della tastiera formando parole
quando riconosco una musica per radio
quando le pagine di un libro si aprono
quando la luce di una mattina si fonde in quella di un pomeriggio
quando una fetta di torta si scioglie in bocca
quando mi sento parte di una vita.

giovedì 2 agosto 2012

Una bella data per iniziare daccapo

il primo agosto è una bella data
per iniziare daccapo.
Niente di più che un omaggio all'assolo di mio padre.
Imperfetto, e mio.


mercoledì 1 agosto 2012

Trovando la Bellezza

Prima di leggere, ascolta qui
 Ecco. Poi leggi.

Qui si parla di vita e di morte, di amicizia e di fedeltà, di depressione e di speranza. Ma, anche, si parla di musica, e di come la musica migliori la vita, la renda preziosa, aiuti a comprenderla.

Sono stata educata alla Bellezza, al Dio che si nasconde nella bellezza del mondo e dell'uomo, e che invita l'uomo a trovare la Bellezza in quella, minutamente parcellizzata, sbriciolata, scomposta, del mondo e dell'uomo. Sono stata educata alla pazienza nel cercarla e al rispetto dopo averla trovata.

Ogni tanto, nella vita, anche in questi ultimi mesi, mi è sembrato che la bellezza non solo si fosse nascosta, ma fosse proprio sparita, non esistesse più. Sono stati mesi difficili, di lacrime e ansia. Di dolore e buio.
Poi, si è fatta strada la luce. Mi ha trovata rannicchiata in un angolo, che piangevo e aspettavo. Indossavo vestiti neri per mimetizzarmi nel buio, e allontanavo il passato, per paura che mi aggredisse.

Quando la luce è penetrata, ho indossato una maglietta bianca. Ho pensato alla Bellezza che si nasconde nel calore umano, nella musica, nella vita. Ho pensato che chi mi aveva lasciata non se n'era andato, ma sarebbe vissuto finché fossi vissuta io, e anche più in là. Finché fosse vissuta l'eco delle parole che io ho sparso ovunque in tutta la mia vita, dei ricordi che io ho seminato a piene mani. Finché fossero vissuti i miei figli, i miei amici, i miei alunni, le persone che ho incontrato nella mia vita.

Quando ho visto mio figlio con gli occhi bagnati di lacrime vedendo le lacrime di Jake, la luce mi ha investita, e ho capito completamente.
Ho capito che nessuno può essere sostituito, ma che l'amore resta, e l'amore è vita, e la vita continua.
Ho capito che io sto continuando l'assolo di mio padre a mio modo, senza imitarlo, ma cercando di rispettarne la bellezza.
Ho capito che, quando sarà, anche mio figlio continuerà il suo assolo, a suo modo.
E sarà comunque bellissimo. Aspettando il momento in cui ciascun assolo, l'assolo di ciascuno, diventerà una sola, immensa, armoniosa Bellezza.
E ho capito che condividere la vita con chi amiamo è l'antidoto migliore contro la morte vera: quella dei sentimenti.

Una meraviglia, averlo capito con mio figlio, condividendo le stesse lacrime.

martedì 10 luglio 2012

Lavorare per un sogno

- Mamma, dov'è Strehlgasse?
- Dev'essere qui, aspetta che cerco... Sì, è qui. E' qui che sono stata, in un luglio afoso del 1947, a studiare tedesco, dalla Fraulein Wiebli. E sono felice che abbiate trovato il posto, felice che abbiate deciso di staccarvi dal gruppo ed immergervi in una città che ho tanto amato.



Hai visto, figlia mia, com'era intraprendente tua madre, nel luglio del 1947? Viaggiava sola, studiava il tedesco, restava in giro per mesi. Ti ho insegnato l'indipendenza, tu l'hai imparata bene, e ora la sta imparando tua figlia, mia nipote.


Giovanna ha quasi dodici anni, ama la musica, il teatro, le lingue, come sua madre, come sua nonna. Si muove agile nella vita, guardando ogni tanto i tuoi occhi, cercando in essi la conferma delle scelte. E' un bel camminare, il vostro, sottobraccio, per i vicoli che ho tanto amato anch'io, in questo luglio di sole.



Nel 1947 il Letzigrund Stadion non era ancora stato costruito, ma stasera lo vedo anch'io. Nelle decine di migliaia di persone, lì dentro, vedo con nitidezza voi due, i vostri amici, sento le vostre voci, e penetro nei vostri cuori. So cosa state facendo lì.


Nel 1947 Bruce Springsteen non era ancora nato, e di sicuro nessuno avrebbe immaginato che avrebbe suonato nella città in cui io stavo abitando. Ma le fila dell'arazzo della vita si intrecciano in modi a noi misteriosi. E le fila delle nostre vite stasera intrecciano un disegno meraviglioso.


 Zurigo è perfetta di luglio. Il freddo nel cuore si sgela, le facce tornano ad essere umane, il clima è propizio per stare all’aperto, le strade si riempiono di gente e di musica. Anche lo stadio è colmo di persone, che stanno aspettando di vedere realizzato il proprio sogno.



Conosco il sogno di Giovanna. E' un'adolescente limpida, timida, ma decisa, e da anni lo coltiva segretamente. Il suo cuore me lo sussurrava, di tanto in tanto. Io ascoltavo, e preparavo. E stasera è il momento. Un momento che tu hai saputo immaginare, volere, preparare, aiutata, in questo, da amici splendidi, gli stessi che avevo anch’io, in quel luglio del 1947.


Quando Bruce si avvicina a Giovanna, lei è già pronta. Ha cullato nel cuore questo momento per anni, da quando, nel luglio del 2009, a Torino, aveva visto una ragazzina cantare con lui. Non l’aveva mai detto a nessuno; ma tu, come ogni mamma, hai le antenne nell’anima, e sai captare i segnali di una figlia. Come sapevo fare io. Come so fare io.


Quando Bruce si avvicina a Giovanna, la fa salire, le dà il microfono, la guarda compiaciuto, il mio sguardo è uguale al tuo. Il sogno si è avverato, la luce nei suoi occhi è speculare alla nostra, il sorriso che Bruce le rivolge è quello che ogni figlia vorrebbe ricevere da un padre, e la incita ad andare avanti, a credere nei suoi sogni, a nutrirsi di essi, e a lavorare per realizzarli.


E, quando Bruce, prima di prenderla in braccio e riportarla sulla terra, le sussurra una frase all’orecchio, la voce che esce da Giovanna è la somma della mia e della tua voce, e della voce di tutte le donne che credono nei loro sogni.


Giovanna urla ‘COME ON, E STREET BAND!!’, e il suo grido si imprime nelle pietre dello stadio, nelle orecchie dei musicisti e del pubblico, nello spirito di Clarence e Danny, nelle nuvole sopra di voi. Come on, abitanti della terra. Lavorate per i vostri sogni…We are alive...

sabato 9 giugno 2012

and you're listening...

ti vedo, sai? e ti sento.
ti ho vista mentre guidavi verso casa, la nostra casa, e andavi a prendere il vestito con cui avresti coperto le quattro ossa che ero diventato. e ti sentivo urlare bring on your wrecking ball...e ti ho vista piangere e guidare insieme. male, figlia mia; non si guida mentre si piange. ma ti scuso. mi avevi appena visto scivolare via dalle tue mani.

e ti vedo anche stasera, tu e i tuoi figli, i miei nipoti amatissimi, che da me e da te hanno preso gli occhi e l'amore per la vita e i suoi doni. state entrando nel catino di cemento e acciaio, avete addosso la pelle le magliette di bruce, e dentro il cuore una gioia trattenuta. vedo il sorriso di giovanna, appollaiata sulla transenna, che guarda incantata le luci che si accendono su 'jack of all trades' e su 'the promise', e la sento sussurrare 'grazie, mamma, è bellissimo!'. nel cuore le vedo la voglia di essere al posto di quella bimba che bruce fa salire sul palco a cantare, e nella testa le sento agitarsi tanti pensieri più grandi di lei, ma tutti belli, che sbocceranno nella sua primavera, quando sarà.

vedo anche il giovane uomo che sta diventando giorgio, che, da quando bruce ha iniziato a cantare, è entrato in un'altra dimensione, sospesa fra la simbiosi con i musicisti e la tensione nel cogliere un significato complessivo più grande di lui. anche per lui, verrà il momento in cui tutto sarà chiaro.

vedo tutti i tuoi amici attorno a te, vedo i loro volti sorridenti, perché bruce sa come fare felici le persone: è logico, sa cos'è la felicità, perché sa cos'è il dolore. solo chi passa attraverso il dolore sa vivere anche il suo opposto e complementare, la gioia. solo chi conosce la morte sa il valore della vita. vedo i tuoi amici saltare e cantare, ridere e gridare, vivere. fuori da questo catino di cemento e acciaio, in mezzo alla pianura, sono medici e manager, insegnanti e bancari, grafici e impiegati. ma qui dentro sono uomini, e donne, presi dall'incanto della vita.

e vedo te. e ti sento. in te tutto è chiaro, stasera. hai tanto sofferto, in questi giorni, eppure quella musica ti ha curato l'anima. hai visto la morte, il dolore, mi hai lasciato andare al largo, mentre tu restavi a terra, e l'hai fatto con la dignità che ti ho insegnato. oscuramente ti preparavi già a stasera. sei entrata nel catino di cemento e acciaio col sorriso e le lacrime, accarezzando la fede d'oro bianco che ti ho lasciato, e già iniziavi a capire. ma è quando bruce canta questa che capisci del tutto.

giovanna ti abbraccia piangendo, e io parlo attraverso lei. ti dico 'il nonno c'è, è qui, lo sento'. e tutto è chiaro. il senso dei nostri mesi di agonia e di dolcezza, il tuo canto urlato andando a prendermi il vestito, la presenza che si stava facendo strada nei tuoi gesti precisi degli ultimi giorni. il senso delle parole di bruce, attraverso cui sono danny e clarence che parlano.
'state in ascolto', dicono, 'ci sentite? noi siamo vivi, e, anche se i nostri corpi riposano sotto terra, le nostre anime, i nostri spiriti si elevano al cielo, e aspettano il momento in cui saremo di nuovo uniti...'

bruce è in ascolto, stasera. noi facciamo quello che possiamo per aiutarvi a vivere e gioire su questa crosta di terra, ma voi dovete fare la vostra parte. riprendere il carico che noi abbiamo deposto, e continuare il nostro cammino. saltare, suonare, cantare, ballare, ridere, sorridere. vivere, insomma.

 ti sento, sai?, quando urli 'we are alive! we are alive!'. sono io che urlo attraverso te. ti vedo, sai?, quando salti e balli nel delirio collettivo di gioia che inonda il catino di cemento e acciaio. anch'io canto con te, e coi tuoi amici, e il mio spirito si dondola sulla metà luna che vedo da qui, e che anche tu vedi, da dietro le spalle di bruce. sento che capisci, allora, del tutto. ora, posso riposare.
e tu ascolti...

sabato 2 giugno 2012

lettera a malfermo

Ogni volta che sorriderete a un ospite che si nutre dei vostri sorrisi, e lo saluterete con rispetto
 Ogni volta che vestirete e pettinerete un ospite parlandogli e controllando se ha gli occhiali, la collana, il cellulare, il bastone, il fazzoletto, se è pulito e composto
Ogni volta che somministrerete le medicine a un ospite parlandogli, spiegandogli la causa e lo scopo, anche se sembra non capire
Ogni volta che porterete in giardino gli ospiti in carrozzina, scegliendo per loro il posto migliore dove stare, le persone più adatte con cui stare
Ogni volta che pulirete un ospite con la cura e la dignità che riservate al vostro corpo
Ogni volta che darete a un ospite ciò di cui ha bisogno, senza che ve lo richieda
Ogni volta che non lascerete un ospite solo nel salone, o in sala da pranzo, e lo sposterete insieme agli altri, o vi fermerete anche solo un attimo con lui
Ogni volta che parlerete agli ospiti delle vostre famiglie, dei vostri figli, dei vostri genitori, dei vostri progetti, dei vostri sogni, coinvolgendoli nelle vostre vite
Ogni volta che con loro metterete da parte la frenesia del lavoro, i vostri problemi e le vostre ansie, per attingere forza dalla loro debolezza
Ogni volta che farete ridere, sorridere, emozionarsi, partecipare un ospite, come con un amico
Ogni volta che sopporterete le loro lamentele, gli sgarbi, le cattiverie piccole e grandi, dovuti a una condizione difficile da sopportare, e li aiuterete a sopportarla
Ogni volta che li porterete in giro, li farete pregare, giocare, cantare, ascoltare musica, ballare, recitare, travestirsi, leggere, nutrirsi della vita in comune e della bellezza della vita
Ogni volta che li accarezzerete, li imboccherete, li chiamerete per nome, li toccherete, li bacerete, o vi farete baciare e accarezzare, anche se non sembra che ci sia un motivo, perché un motivo invece per loro c’è
Ogni volta che non li piazzerete davanti alla televisione, ma commenterete con loro i fatti del mondo fuori che entrano in questo mondo
 Ogni volta che parlerete a loro della vostra terra di origine, facendo sentire la vostra nostalgia per le persone lontane che avete lasciato e a cui pensate
Ogni volta che non considererete un ospite solo un organismo da medicare, analizzare, o di cui constatare il decadimento, e accompagnerete alla fine lui e i suoi familiari con dolcezza e umanità
Ogni volta che li considererete non tanto ospiti, ma quello che realmente sono: uomini, donne, cittadini, vostri simili, vostri fratelli, vostri amici, persone,
Io ricorderò tutte le volte, tantissime volte, in cui Voi lo avete fatto a me.
E, nella Luce in cui io sono, rivolgerò a Voi un sorriso e un pensiero di bene.
Grazie, fratelli. Grazie, sorelle. Grazie, amici.
Avete reso luminosi gli ultimi anni della mia vita.
 Vi abbraccio, uno per uno.
Ora sono davvero una Roccia a cui appoggiarvi.
Il vostro Gianluigi, Luigi, Luis, Gian, il Bianchi.

lunedì 21 maggio 2012

la febbre reloaded

ci sono mattine, nella nave, in cui si respira aria di libertà. in cui il mondo_fuori e quello nella nave si mescolano. sono momenti di grazia, e la vita riacquista una sua minima interezza. succede quasi sempre quando montale ci parla, quando pasolini ci parla, quando ci parla saba, e quando l'arco di tempo fra 8 e 900, e lo spazio fra francia e italia, italia e inghilterra, stati uniti e italia si accorcia in un unico pensiero che non è mai pensiero unico. succede quando l'uomo si accorge di appartenere ad un'unica sola condizione, quella umana, appunto. e succede che gli spettacoli visti le mostre le canzoni i quadri, si mescolino insieme, senza confondersi. si chiama cultura. si chiama coltura di intelligenze. si chiama intus_legere la realtà, capire da dove veniamo, intuire dove stiamo andando. criticare. piccoli allievi del sospetto anche noi, apprendisti dietro ai maestri. criticare, e scegliere cosa sia meglio, o meno peggio. scartare. esercitare il dono del pensiero. così, quando, la sera dopo una di quelle mattine, càpita di ascoltare queste parole oppure queste tutto si tiene. e quando, la sera seguente, càpita di ascoltare queste parole la sensazione diviene ancora più netta. e capiamo che a stare dalla parte del torto si soffre un po'. ma, quando troviamo i simili, la luce che emaniamo insieme consola, e ripaga.

domenica 13 maggio 2012

non voltarti indietro

e non guardare giù. giù, al pianterreno, c'è un grande salone. ci ricevono i parenti, e c'è il riscaldamento d'inverno, e l'aria condizionata d'estate. c'è musica soffusa, e silenzio soffice come le poltroncine. al pianterreno, c'è profumo di disinfettante e deodorante per ambienti, e la signorina ti guarda senza vederti, e ti chiede chi deve chiamare. ma tu, non scendere. non guardare. non guardare giù, non guardarci dentro. non voltarti indietro. se guardi indietro, al posto del salone con la musica soffusa e silenzio soffice, vedresti un ingresso di ferro con un oblò, pesante da spingere, ma leggero da entrarci. e, dentro, ti si spalancherebbe un mondo pieno di odori suoni voci sorrisi facce musica rumore vita.
sui piccoli tavoli neri, vedresti bicchieri pieni di alcolici di ogni genere, vaschette con dolcini e popcorn e patatine e noccioline, e, attorno ai tavoli, gente di ogni età, tutta lì per un solo scopo: per stare bene; e per una sola ragione: perché lì si sta bene.
poi, vedresti un palco stretto, ma che si allarga ogni volta che ci sale gente, fino a contenere dieci, quindici musicisti, e sul palco strumenti di ogni genere, e dietro al palco manifesti di ogni genere di artisti. alcuni di quegli artisti spariti nel nulla, altri diventati così famosi che forse non si ricordano nemmeno di averci suonato, su questo palco.
e vedresti un bancone lungo, e dietro al bancone vedresti due o tre o quattro persone che sorridono, invariabilmente, e cantano, e ballano, felici della musica che hanno scelto, amici dei musicisti che hanno scelto.
non voltarti indietro. ti potrebbe assalire la nostalgia, per tutte le sere di musica e gioia che hai vissuto lì, per i sorrisi dispersi nell'aria di quelle sere, per le amicizie nate in mezzo alle note. e ora, ora che al pianterreno, al posto di quel posto pieno di musica e vita c'è un salone silenzioso e ordinato, non guardare giù. non scendere, non voltarti. falli restare dove stanno bene, i tuoi ricordi. falli restare nel cuore.

mercoledì 11 aprile 2012

un angelo nella stanza


lo sento, c'è.
c'è nei suoi occhi liquidi.
nel rantolo del suo respiro.
nel pulsare delle sue vene.
nell'odore della sua pelle.
nelle rughe della sua fronte.

c'è nella disperazione senza parole.
nell'amore incondizionato.
nelle ore senza tempo.
nei gesti senza senso.

c'è in una mattina quieta.
in un pomeriggio obliquo.
in una sera abbandonata.

lo sento. c'è.
è un angelo, in questa stanza,
dove si sta morendo, con calma, senza disturbare.

domenica 18 marzo 2012

volando sul sofà

comincia con una strada che si perde fra i capannoni industriali di quando non c'era la crisi. comincia con un cancelletto, un viottolo in un giardinetto e un manichino che suona il violoncello.
comincia con un salotto e un paio di sofà, qualche sedia e due tavolini, sorrisi e una birra, luci basse e tanti libri.
e, in un angolo, due chitarre e un microfono.
ossia, il mondo come dovrebbe sempre essere.



comincia con questa canzone



e la magia si completa.
la voce è un soffice sofà, su cui saliamo tutti, e finiamo nella soho di trent'anni fa, o nella roma del folk studio, o nella west coast dei tempi di peace and love.
le dita veloci sulle corde della chitarra, la voce veloce sulle corde dei nostri cuori.

ed è come se nick drake e odetta, joni mitchell e phil ochs fossero seduti anche loro sul sofà, bevendo una birra e ascoltando, in un silenzio sospeso, il soffio del tempo, che passa e non passa, non passa più, e che resta impigliato fra le note di una voce e di una chitarra.


finisce dopo un'ora. finisce con un abbraccio, brava emma, grazie, a presto. finisce con emma che sorride ubriaca di gioia. finisce forse troppo presto. ma quanta meraviglia, in quel volo, vissuto stando seduti su un sofà.

mercoledì 7 marzo 2012

e tirala, quella palla




sto qui, signore.
sto qui sdraiato in un letto.

ero un campo di baseball anch'io, sai.
ero azione, e urla, vittorie e sconfitte, amore e passione.
ero in movimento, sempre, ero bontà e sacrificio, in questa dura terra.
ho versato sudore e sangue e dolcezza su quella terra, signore.

ma ora sto qui, sdraiato in un letto.
la mia forza mi sta lasciando,la giovinezza è un ricordo lontano.
a volte chiedo di camminare.
a volte chiedo se i miei genitori sono morti.
a volte chiedo a mia figlia come si chiama.

ma c'è una cosa che ricordo, signore, ah, se la ricordo.
ricordo che avevo speranze e desideri, avevo forza e fede. e su questi avevo fondato il mio campo, su cui giocare.
ricordo che avevo occhi chiari e tanti capelli, camminavo dritto e nobile.
una donna minuta e forte vicina, e una storia da raccontare.

ma, signore, prima che tutto diventi cenere e polvere, prima che tutto sia spazzato dal vento, prima che spenga la luce,
fammi un favore:
dammi la forza di resistere alla mia rabbia,
dammi la forza di non farmi abbattere dalla paura,
dammi la forza di guardarti dritto negli occhi.

bene.

e adesso,
tirala, quella palla.

martedì 24 gennaio 2012

grazivano

per salutare l'ultima apparizione video di Ivano Fossati, due righe scritte anni fa. ma ancora vere, e vive.

Una notte in Italia

...è una notte in italia. in un angolo di italia, campione d’italia, per l’esattezza. ma la donna, dell’esattezza non è mai stata tanto amica. la trova insopportabile, noiosa, affaticante. tant’è vero che stasera, invece di essere a letto perchè non si sente bene, è in mezzo a 400 persone, ad aspettare che inizi un concerto. il concerto di fossati, lungamente atteso, perchè canti una canzone che le è entrata subito nel cuore, che rievoca un episodio della sua adolescenza: un parcheggio, un ragazzo, le mani di lui che sanno ancora così poco dell’amore, i seni di lei,puntati dritti sul suo cuore. e la gente che non guida mai piano. e la confusione, l’imprecisione, l’inesattezza stinta di una prima volta.
adesso la donna è in riva al lago, e pensa che anche questo è un parcheggio, anche questa è una prima volta, e si chiede cosa accadrà questa volta. i brividi a luglio. le luci sfiocano via, come arrugginite, sotto le lacrime, in questo tempo sbandato, in una notte che corre. i suoni rivelano di più di quanto dicano. improvvisamente, la donna ha una fitta al ventre, proprio là, dove inizia la vita, dove mesi prima si è spenta una vita. il futuro che viene.. a darci fiato. e la donna capisce. il futuro che viene. nel suo ventre dolente, in un parcheggio in cima al mondo, in una notte in un angolo d’italia.
chissà se ha fiato.
(non ne avrà abbastanza. ma la donna vivrà, amerà, proverà ancora, imprecisa e inesatta e imperfetta. finchè ce la farà, a prendere fra le braccia un’esistenza tremante...ma questa è un’altra canzone).


Lindbergh

una mattina presto. meno quattro a milano. una donna scende le scale del metro della stazione centrale. scende, e intanto nel suo mp3 ivano fossati canta non sono che il contabile dell’ombra di me stesso...se mi vedete qui a volare...
lindbergh sale nel cielo, la donna scende sotto terra. ma è come se volasse anche lei,perchè sa che quella discesa vale più di mille voli. difficile non è partire contro il vento, ma casomai senza un saluto...
la aspetta un pesce con le ali, volato via dal mare per annusare le stelle. lei sa che scende, e, quando ritornerà in superficie, si perderà trovandosi. ha in mano un sacchetto con due brioches al cioccolato. ne sente l’aroma. ne pregusta il sapore. e la musica la fa volare. le luci al neon diventano stelle. i visi dei passeggeri sono scie di vite.
e la vuole fare tutta quella strada.. fino al punto esatto in cui si spegne. pensa. vive. ha i brividi. ma non sono i meno quattro di milano.

lunedì 23 gennaio 2012

dal canada alla cascina


questa storia inizia a vancouver, canada.
oppure a poasco, san donato milanese, italia.

da ovunque la si faccia iniziare, è una storia e basta.
inizia con vite che sbandano e si riprendono, con voci che si intrecciano, con amicizie che si costruiscono con la paziente caparbietà delle cose semplici.
un alveare, uno scoglio, un accordo di chitarra.
e così succede che le vite si annodino, per una sera o per sempre, non importa. sempre o una sera sono misure di tempo relative, se la faccenda riguarda le emozioni.
il ragazzo di vancouver e quello di poasco hanno davvero poco in comune. manco parlano la stessa lingua. il ragazzo di vancouver ha ogni tanto un lampo negli occhi, che rivela quanto siano pesati i chilometri, e gli anni, le scelte, e le strade fatte per arrivare fin lì. quando parla, quando canta, senti il suo bisogno di arrivare al cuore del mondo, la sua fame di dimostrare al mondo quanta strada abbia fatto per arrivare fin lì, in quella cascina ai confini del mondo conosciuto.
il ragazzo di poasco lo accoglie nella cascina come suo nonno avrebbe fatto coi partigiani, come suo padre coi vagabondi. gli dà pane, e riso, e vino. gli dà caldo, e gente con cui stare, parlare, e cantare.
e scoprono che in comune, loro due, hanno l'essenziale. l'amore per la vita, l'amicizia, la musica.

questa storia inizia qui, oppure finisce, non si sa, non importa.
ed è una storia di musica, come sempre avviene quando Dio si ricorda dell'uomo.
ma anche di vino. una storia di_vina. in vino veritas, ma anche harmonia.

questa storia inizia con un canto di fine e di morte, ma anche di gioia e di rinascita

continua con sorrisi, e schiocchi di dita, e brevi versi sussurrati per non perdere il silenzio tutto attorno


e finisce con strette di mano e abbracci e ragnatele in cantina e vino e goodbye soon.
il mal di stomaco passa, passa il mal di mare che prende a volte nella vita, e quello che non passa e non verrà mai rotto è il circolo di amicizia ed energia.

il ragazzo di vancouver sparisce nel freddo di una notte di gennaio.
il ragazzo di poasco chiude il portone della cascina.
tutto attorno, sanno di aver lasciato magia, e tempo buono, vino, riso e risate.

lunedì 2 gennaio 2012

malfermo_12

e c'è il carluccio. tra poco, 72 anni. giovane, dicono. ma cinque anni fa il cervello ha fatto clic. da allora, si accende e si spegne.
quando è acceso, ricorda chi è, dove sta, perché, come.
quando è spento, deve ricominciare tutto daccapo. saluta tutti come fosse la prima volta, si presenta come se nessuno lo conoscesse, si guarda attorno come se stesse in un posto nuovo.
ogni giorno lancia una pallina sulla roulette del suo cervello. la pallina si ferma. acceso / spento.
ogni giorno come se rinascesse. nuovo o vecchissimo. sanissimo o malato.
il carluccio sorride sempre, però. forse proprio perché non sa dove si fermerà la pallina, respira la vita col sorriso di chi non ha nulla da perdere.