mercoledì 31 marzo 2010

land of hope

siamo tutti nella nave, stamattina. ma c'è aria di vacanze, di primavera, di intervalli spesi ad asciugare appunti e aoristi al sole del chiostro (ché la nostra nave non ha un cortile, ma proprio un chiostro di un ex convento).
nel chiostro, chi amoreggia con discrezione, chi ripassa, chi sfumacchia (siamo all'aperto, no, siamo all'interno di un edificio, no, ma basta non stare sotto le colonne, insomma, fai un po' quello che ti pare), chi mangia pizzette e panini.
però i clandestini, nel quarto_d'_ora_d'_aria, vogliono respirare davvero. e da un po' di tempo hanno introdotto uno strumento di respirazione cerebroaerobica. una chitarra.

si ritagliano un quarto di sole, fra le colonne e l'aperto, che sembrano i vecchietti di miracolo a milano. e uno tira fuori lo strumento. un altro una serie di fogli fotocopiati. gli altri, in cerchio attorno. e lo strumento suona. e le voci cantano.

e uno dice, chissà cosa canteranno mai. si aspetta di tutto. eppure quel pezzo...quel pezzo.



la speranza arriva col sole di una mattina per altri versi deprimente. in cui molto sembra precario, e la fiducia nel futuro non è che sia proprio a mille.
la speranza è questa terra di nessuno, un quarto di sole, a cucire i loro e i miei diciottanni con la fragilità testarda dell'unica fede che davvero tutti conosciamo: quella nell'arte.


god bless them, direbbe un mio amico.