sabato 6 dicembre 2014

I desideri della notte di Sante Nicola



"Fate attenzione a quello che desiderate...capace che magari poi si avvera..."

Sante Nicola, protettore delle vittime dei propri errori, protettore del debole fuoco che proviene da qualche parola d'amore, da qualche nota dispersa nel deserto delle nostre esistenze, fuoco che non brucia, ma scalda l'anima, nel freddo di una notte di dicembre.
Sante Nicola, santo trafugato, vilipeso, preso in giro, generoso, ascolta, segue, protegge, e, quando può, nella sua notte, provvede a risarcire i cuori malati di vita, o di qualche malattia alla vita connessa, rischio, pegno da pagare per non trascorrere giorni nell'indifferenza e nell'apatia.
Sante Nicola, anima transumante, amico dei viandanti, che non si rassegnano a cedere alla sofferenza e alla durezza del cammino, ma proseguono, nonostante tutto, armati di pazienza e passione.

La notte di Sante Nicola ha visto raccolti su un palco tre malati di Parkinson, ma soprattutto di vita; un pugno di artisti, a sostenere la lotta per vincere la malattia; duecento persone in platea, a donare il loro contributo. Ed è stata magia, e meraviglia, intreccio di chitarre, a sparare note di speranza come da mitragliatrici buone, a ricamare su voci che raccontavano storie di forza e resistenza, amore e amicizia, dolore e speranza. Ed è stata felicità, dell'unica concessa a noi mortali, felicità di attimi, sospesi nell'atmosfera, silenziosi e profondi. Ed è stata consapevolezza di vivere istanti unici, e di scoprire che unici sono tutti i singoli istanti che si vivono, quando la vita è come dovrebbe essere sempre.

La notte di Sante Nicola, nel suo spegnersi nell'alba, ha visto incontrarsi anche due persone speciali, uno che approdava alla casa dell'altro come a un porto sicuro, e l'altro che aspettava da anni quel ritorno. I desideri, per una notte, si sono avverati, ricomposti miracolosamente, come le tessere di un mosaico strambo, impreciso e magnifico, perché pulsante della vita, dei destini e delle speranze di persone che non hanno mai rinunciato mai a sognare. Perché i desideri, capace che magari poi si avverino. Nonostante, o forse grazie, ai nostri errori.

mercoledì 22 ottobre 2014

credo mi piacerà

un ex alunno, in genere, rifugge da qualsivoglia contatto con la sua ex scuola. invece questo ex alunno mi ha preparato una sorpresa. credo mi piacerà.







Libreria Torriani: LORENZO MORANDOTTI E LAURA BIANCHI AD ASSO 24 OTTO...: Evento organizzato dall'Assessorato alla Cultura Comune di ASSO in collaborazione con la Libreria Torriani di Canzo: VENERDI' 24 OTT...

martedì 16 settembre 2014

Domo arigatô goizaimasu, Mr. Hayao

 

“Le vent se lève! . . . il faut tenter de vivre!
L'air immense ouvre et referme mon livre,
La vague en poudre ose jaillir des rocs!
Envolez-vous, pages tout éblouies!
Rompez, vagues! Rompez d'eaux réjouies
Ce toit tranquille où picoraient des focs!”

Ci salutiamo così, Mr. Hayao. Con i suoi amati aeroplani, un po' di Italia, il Giappone, una storia di amore tanto concreta quanto magica,  gli anni Trenta, la cultura europea, la musica, la poesia e l’arte. Ci salutiamo con un eroe piccolo e mediocre, incerto e debole, toccato dalla grazia di un sogno, al quale sacrifica la bellezza della realtà, eppure tanto simile a noi, precari equilibristi sull’ala di un aeroplano, che trasporta la nostra vita.



Ci salutiamo con un racconto in movimento, non solo aerei, ma anche treni, automobili, biciclette, autobus, battelli, navi. Con personaggi che non si fermano nemmeno quando sembrano immobili, che si trasformano incessantemente, trascinati dallo stesso scorrere dell’esistenza, dal vento del vivere. E Lei, Mr. Hayao, che ha goduto di ben oltre un decennio di creatività, decide di salutarci così, prima di posare la sua matita, e intanto guida coi suoi tocchi esperti i personaggi, colora i paesaggi di forza e vibrazioni, regala ai nostri occhi il concretizzarsi di una visione appena percepita, e subito svanita, impalpabile come un fotogramma.
Ci salutiamo con la suprema sintesi della sua Arte, fatta della stessa materia dei sogni; creare, rischiare di perdere qualcosa o qualcuno, isolarsi dalla realtà, sì, può valere la pena. Vale la pena.
Un inchino deferente con il capo, Mr. Hayao. E grazie. Per Ponyo, Porco Rosso, Mononoke, Arietty, Sen e Chihiro, e tutti i personaggi che, dalla sua matita, ora vivono con noi.


venerdì 5 settembre 2014

Sick lit? Ma per favore


La malattia.
Il dolore.
La morte.
La vita.
L'amore.
Di cosa si vive, e si muore? Di questo, in fin dei conti.
Parlarne, scriverne, farne arte, aspirazione eterna.

E lasciare qualcosa oltre sé, dopo sé, dopo che si è passati oltre, o svaniti nel nulla.
Exegi monumentum aere perennius. Orazio.

E forse io solo
so ancora
che visse. Giuseppe Ungaretti.

Che tu sei qui,
che la vita esiste e l’identità, 
Che il potente spettacolo continui, 
e che tu puoi contribuire con un verso. Walt Whitman.

Sono innamorato di te, e so che l'amore non è che un grido nel vuoto, e che l'oblio è inevitabile, e che siamo tutti dannati e che verrà un giorno in cui tutti i nostri sforzi saranno ridotti in polvere, e so che il sole inghiottirà l'unica terra che avremo mai, e sono innamorato di te. John Green.

Ci sono due ragazzi, che sanno di dover morire presto. Abisso misterioso e insondabile, tremendo, orrorifico. Loro ci guardano dentro, senza coraggio, con la sfrontata incosciente ironia degli adolescenti. Piangono poco, ma solo perché non perdono tempo a piangere. Sono troppo occupati ad amare la vita, ad amarsi.
Parlano, si baciano, ridono, camminano sulla crosta di terra durante attimi preziosi, prima che questa li inghiotta. Non lasciano altro, oltre sé, tranne la loro storia. Anzi, lasciano qualcosa: la loro storia, immaginata da uno scrittore, resa immagini da un regista. E penetrata nel cuore e nella memoria di chi l'ha vissuta con loro.
Non vivono in un videogioco. Non hanno superpoteri. Non devono misurarsi con forze oscure dai nomi fantasiosi. Non è una distopia immaginaria, la loro. Il male ha un nome comune, e si chiama tumore. Il loro tempo è il nostro, quello dominato dall'illusione dell'eterna giovinezza e tutto teso ad esorcizzare malattie, vecchiaia, morte, nascondendole sotto il tappeto dell'apparenza, inebetendole con la chimera del possesso.

Ci sono due ragazzi, che strappano al tempo il loro pezzetto di infinito, e ne fanno un'esplosione di attimi di gioia, prima del buio, e del silenzio. Perché anche il dolore chiede di essere vissuto. E c'è una voce, che è quella dello scrittore, e poi quella del regista, che dà forma all'esplosione, per renderla, a modo suo, infinita. Per restituirla al ricordo dei lettori, degli spettatori, con la stessa intatta profonda leggerezza. Per suscitare in loro le stesse domande, e donare le stesse risposte.

E la chiamano sick lit. Ma per favore. Basta con la mania di catalogare tutto, di vedere ovunque cinica speculazione. Chi ha vissuto con malati terminali conosce la loro disperata vitalità, la forza senza coraggio, la tenacia dell'attaccamento all'esistenza e al suo senso.

Che sia questo, proprio questo, il significato del successo di un libro, e di un film, che parlano, finalmente, di morte, dolore, malattia, amore, vita?




martedì 22 luglio 2014

Old man

Aria .         Il soffio del vento.
Acqua.      Le gocce della pioggia.
Fuoco.      I lampi dei fulmini.

Terra.       La terra madre, che tutto riceve.
Umile nella sua forza,
forte nella sua dolcezza,
dolce nella sua umiltà.

Il vecchio uomo guarda.
I fulmini cadono sulle colline,
fruste di fuoco a colpire le vigne.
Il vento scuote i noccioli,
con raffiche febbrili tormenta i tralci.
La pioggia lecca i filari,
liquida lingua obliqua sulle dune verdi.

La terra è madre,
e i suoi figli gridano "NO RAIN!",
memori di ere lontane,
quando erano vergini e ingenui,
e potevano credere nei sogni.

Ma il tempo della pace e dell'amore è forse finito.
Il vecchio uomo sente la pioggia, vede i lampi, è scosso dal vento,
ma percepisce altro, altrove.
I tuoni sono bombe,
i lampi sono mine,
e le gocce sono lacrime
su una terra senza pace.

Il vecchio uomo si prepara.
Indossa una maglietta nera
con una scritta bianca:
EARTH.
A quale terra appartiene?
E di quella terra, è figlio o orfano?

Il vecchio uomo imbraccia la sua arma,
che spara note,
e sa fare male, scuotere, suscitare dubbi ed emozioni.
Sente che in questa sera di guerra e tuoni,
in questo paese sospeso nel tempo,
è tempo di parlare di amore al tempo della guerra.

Quando inizia a suonare, e cantare,
vuole che gli occhi di tutti non cerchino lui, ma il cavallo che corre libero dentro ciascuno.
Chi ci riesce, alza lo sguardo,
e trova tre stelle.



La voce del vecchio uomo s'intreccia con quella di due donne, dolente ricordo di popoli violati e amati, presenza viva di madre terra, da proteggere, forza umile della musica e della vita, nonostante le tempeste e le violenze. E la chitarra racconta la storia di tutti, odioamore, guerrapace, solepioggia, yinyang. Ma insieme suggerisce il modo per renderla eterna.
Inchiodare le note alla caducità di un istante, rivelandole in tutta la loro fragilità perfetta. Costringere chi le ascolta ad accoglierle così, umilmente, come può ricevere la pioggia, e il vento, e i tuoni, e il sole, un grappolo d'uva, aggrappato al suo tralcio, affondato nella terra di una collina. Pronto ad essere strappato di lì a poco, ma, intanto, vibrante di splendore, vita, profumo, e umore.

Il vecchio uomo si piega in avanti. Nemmeno lui riesce a contenere tanta bellezza. Però, però, la crea.
Altrove, una donna fa lo stesso. Però, però, lei crea lacrime, e pensieri.
E, adesso, parole.



giovedì 17 luglio 2014

Natale a luglio (Buscaday)

Resistere. Guardare lontano. Inciampare, e rialzarsi. Sempre con una luce negli occhi, che spinge a guardare lontano, ad ampliare gli orizzonti, e pazienza se non si vedono gli ostacoli vicini, che a volte fanno inciampare. Avere una visione lontana da raggiungere aiuta a continuare il percorso.
E non importa nemmeno se attorno ci sono persone che fingono di condividerla, e invece vedono solo gli ostacoli vicini, oppure sperano di avere vantaggi immediati. L'importante è guardare lontano.

Il lago di Pusiano sarà sempre lo stesso, da sabato 26 a martedì 29 luglio. Ma gli occhi che lo guarderanno saranno diversi. Occhi piovuti da ovunque, dall'Italia all'America, alla ricerca della stessa visione. Occhi adulti, che danno luce a sguardi bambini, agli sguardi che avevamo tutti a Natale, quando era festa, e arrivavano i regali attesi da tempo, e si materializzava la visione che avevamo inseguito per mesi: il giocattolo, la chitarrina, la pista, la bambola, i 45 giri erano finalmente fra le nostre mani, e noi davamo corpo ai sogni.

Ci sono persone che sanno farlo anche da adulti, ed altre che le seguono, incantate dalla loro capacità di ricreare quella stessa atmosfera di gioia gratuita e passione realizzata. E c'è da scommetterci che tutte, in quei giorni, a Pusiano vivranno emozioni simili.
Entrare nel parco di Palazzo Beauharnais. Perdersi fra le bancarelle di dischi e libri, in cui aleggia ancora la presenza densa di nicotina e umanità di Carlo Carlini. Vagare fra strumenti e spartiti, fotografie e dipinti a tema musicale. Mangiare e bere con amici che condividono lo stesso entusiasmo. Già così, Natale a luglio.

Ma c'è di più. C'è la musica pensata, scritta, vissuta e suonata davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie; e per una volta i sogni si accordano con la realtà. Fra i musicisti, alcuni sono compagni di una vita, altri icone lontane, che si concretizzano, altri ancora universi da scoprire. La musica pervade l'aria, scaturisce da ogni angolo, sale sul battello e va a trovare i canguri dell'isola, costruisce ponti, consolida relazioni, incrocia mondi e crea nuovi sogni, per lanciare il cuore oltre, quando questo Natale sarà finito, e i pacchetti scartati, e le luci spente, e gli ultimi abbracci consumati.

Perché la musica non si ferma. E le nostre visioni nemmeno.

sabato 3 maggio 2014

Loro

Loro stanno tutti in pochi chilometri.
Sono uomini, e donne. Fanno i mestieri più diversi fra loro.Una insegna didattica della matematica. Un'altra è antropologa della differenza di genere. Una gestisce una ditta di import export. Uno disegna gioielli e li vende nel suo negozio. Un altro fa il giudice supplente.

Loro stanno tutti in pochi chilometri. Erano ragazzi e ragazze, raccolti nel periodo più propizio per le amicizie, la giovinezza. Il momento della sincerità e degli slanci, dei sogni e dell'innocenza, delle confidenze e dell'abbandono. Fiori coltivati lungo la strada, bagnati dalle tempeste dell'esistenza, fatti crescere sotto il sole dei giorni felici. Successi, sconfitte, lutti, risate, e ancora notti e vacanze e viaggi e balli, canti, sorrisi, abbracci e lacrime. Arrivederci e benarrivato, partenze e arrivi, lettere e telefonate a vincere le distanze.

Loro stanno tutti in pochi chilometri. In una città indicata dal dito sicuro del padre, dallo sguardo paziente del padre, dalla volontà previdente del padre, che preparava la medicina per curare la sua assenza, decenni prima che questa  accadesse. Sono amici e figli di amici, sono amici di amici spariti, e questi sono restati, mentre di quelli nemmeno ricordo il nome. Alchimia di coincidenze, simbiosi simpatica, e riconoscersi fratelli di madre diversa, con lo stesso padre, con gli stessi occhi chiari e sinceri.

Una esplode di vita, adora ballare, cantare, e parlare senza sosta. Il tempo le ha lasciato poche tracce nella voce e nell'anima, entrambe brillanti come pezzi di quei vetri che si trovano sulla spiaggia, semplici, eppure necessari per farla splendere.
Uno fulmina con lo sguardo, occhi acuti come la sua ironia, e penetranti come la sua risata. Le mani non smettono di muoversi, impazienti, in attesa di poter esprimere la festa di allegria e colori che si agita nella mente e di farla diventare luce di oro e smalto.
Una fuma in continuazione, inquieta, e la vita è un'eterna sigaretta da aspirare, e incontri da bruciare, senza consumarli, perché la loro cenere diventa  parole, libri, teorie, idee, da condividere e regalare al mondo.
Uno ha occhi in cui si specchiano l'acqua del mare e la trasparenza del cielo, e un passo indolente con cui attraversa i giorni. Sembra arrendersi agli eventi, ma li condiziona, giunco docile, che dona dolcezza e amore a chi sappia comprenderlo.
Una si tende verso la vita con la positiva energia di uno spirito indomito, e insieme con la precisione matematica di una mente lucida. Segue l’algoritmo della vita senza stancarsi mai. E insieme ne aspetta la soluzione.

Loro stanno tutti in pochi chilometri. Troppo lontani da me. Loro stanno tutti nei pochi centimetri del mio cuore. Eppure ci stanno bene, comodi. Ho impiegato una vita a far loro posto. E adesso, che volo sopra di loro, nell’ennesima partenza,  li benedico con le mie lacrime, e faccio piovere con esse tutta l'energia di cui sono capace.

Loro stanno a Barcellona. La loro città. Il mio cuore.

sabato 29 marzo 2014

Vivo (il tredicesimo dell'Inferno)



Piero sanguinava dalla testa.. Lui tenne ambo le chiavi del cor di Federigo. Ma gli altri erano invidiosi. E finì in una stanza buia, senza mangiare, bere, leggere, scrivere, calunniato, accecato, torturato. Lui urlava nel chiuso della prigione. Mi sentite? sto gridando da un pezzo e no, non mi sentite...

Piero sanguinava soprattutto dal cuore. Il suo cuore era giusto, innocente, ricco di fiducia negli altri. Amava la poesia, l'amicizia, e non sopportava di fare la vittima. Tutto bene, diceva, quando gli chiedevano come andava. Così così, rispondeva, quando proprio si sentiva male. 
E gli amici, attorno, lo consideravano indistruttibile, orgoglioso, forte.
Lui godeva di quel loro sguardo, delle risate nella corte, delle interminabili discussioni, delle notti trascorse a recitare poesie e suonare, tutti stretti in un legame spirituale, in una scuola poetica, artistica, estetica. E lui, lì dentro, ne era l'anima.

Piero sanguinava, ed una notte, mentre lo stavano trasportando in un altrove che non voleva conoscere, un angelo nero lo spinse giù dal cavallo. La testa si infranse contro una pietra, tingendola del colore che lui più amava.
E fu libero.



   "E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che 'nvidia le diede."




lunedì 24 marzo 2014

Lei è.

Lei ha occhi neri e mobilissimi, che guardano l'anima di ciascuno, anche delle cose, e ne estraggono il meglio, scavando in profondità, portando alla luce i colori e le attese nascosti dentro.
Lei ha capelli lisci e docili alle mille fantasie che le mani realizzano per loro; un fiore, spesso, li incornicia, regalando un lampo di luce proprio lì, vicino all'orecchio, anticipandone la gioia della musica e delle parole.
Lei ha un sorriso aperto e fiducioso, innocente, che si schiude in una risata bambina, fresca e scrosciante, come una cascata di sole sul viso.
Lei ha una voce dolcissima e spesso sfinita, che segue i saliscendi della cantilena della sua terra, inerpicandosi veloce in strette curve su per le colline delle Langhe, per poi scivolare lentamente, scollinando nella pianura del sentimento.
Lei ha mani parlanti, gesti precisi e immediati, sinceri come i pensieri che traspaiono dalle parole; le dita stringono spesso una sigaretta, che esse portano alla bocca con naturalezza, senza che questo interrompa nemmeno per un attimo l'eleganza del portamento.

Lei ha un corpo esile e nervoso, minuto e forte, da cui traspare la tenacia determinata di un'esistenza alla ricerca di un senso; i gesti sono mutevoli, a volte morbidi e femminili, altre volte scattanti e mascolini, in equilibrio miracoloso e precario.
Lei ha vestiti colorati, tessuti senza tempo, forme assemblate in modo magico, come spuntati dal cappello di una fata gioiosa e creativa; e ci gioca, coi colori, con le forme, coi tessuti, divertendosi, divertendo, suonando in silenzio una tavolozza di note sgargianti e cristalline.

Lei ha gioielli rari, preziosi, perché preziosi sono i ricordi che stanno acquattati dentro la loro luce; ampie collane, giganteschi anelli, file di bracciali, sempre dosati con spontanea sapienza.
Lei ha pensieri mobili come gli occhi, e dolcezza nobile come il sorriso; lei ama le parole, con cui dà forma prima ai pensieri, poi alla voce, e ama ascoltarle, le parole, che siano parlate, cantate, suonate, incise, recitate, fotografate, o solo intuite e pensate.
Lei scrive, fotografa, immagina incontri, concerti, letture, spettacoli, poesie, viaggi, e torte, e spese al mercato, e giri in bicicletta, e chiacchiere con gli amici, e canti che tornano, e conti che non tornano.

Lei ride con Bergonzoni, sogna con Fossati, resiste con Casale, lotta con Godano; ma porta impresso nel cuore il segno di Pavese, di Pasolini, di Calvino. Lei vive il presente nel rispetto del passato, e attende il futuro con l'irrequieta impazienza di chi ama la vita.
Lei lavora dall'alba a notte fonda, sfidando il suo corpo, i suoi nervi, il cuore e il respiro, ma intanto vive in un'altra orbita, in cui grazia e inquietudine, speranza e ricerca di senso si mescolano incessantemente.

Se vi diranno che lei non c'è più, scuotete la testa come le avete visto fare tante volte. E dite come lei: "Ma no...mica è vero!"
Perché lei è. Per sempre.







martedì 4 marzo 2014

Salvando i padri (su "Saving Mr. Banks")

Se bastasse un poco di zucchero, per mandare giù le pillole amare della vita.
Se bastasse un tocco di polvere luccicante, per colorare il grigio dell'esistenza.
Se bastasse chiudere gli occhi, per fare rivivere chi non c'è più, e riavere indietro gli anni sprecati, e tornare a percorrere una strada.
Invece no, non basta. Ma abbiamo l'immaginazione. La nostra mente, e il ricordo, e la volontà.

Fare la pace coi ricordi che ci portiamo dentro anche se non vogliamo. Rammendare il tessuto strappato dei giorni venuti male, quelli in cui abbiamo gridato e sofferto e cercato un perché che non arrivava, mai. Soprattutto, spingere il nostro sguardo chiaro in mezzo ai momenti scuri della nostra vita, per arrivare, sempre, là da dove abbiamo mosso i nostri passi: i padri. Le madri.

Anni silenziosi, in cui abbiamo guardato il mondo che loro vivevano e ci preparavano, noi,  impotenti testimoni dei loro errori, eroismi, passioni e passati. Anni bambini, in cui ci sarebbero bastati un abbraccio, un sorriso e un aquilone per volare alti e onnipotenti sulle miserie del mondo. Ma a volte il tempo, le cose del mondo, trascinavano via chi avrebbe potuto fermarlo con un abbraccio, un sorriso e un aquilone, e noi restavamo a terra, a interrogare coi nostri sguardi muti, a mendicare un senso.

Diventiamo adulti a nostra volta. Uomini e donne di successo, o semplici comparse nello scenario della storia, madri, o padri, a nostra volta, biologici e no. Procediamo per i sentieri dell'esistenza portando chiuso dentro di noi il fantasma del nostro io bambino, che la società ci ha insegnato a dissimulare, a cancellare, spesso anche a tradire.

Ma abbiamo l'immaginazione. La nostra mente, e il ricordo, e la volontà.
E accade un giorno, improvvisamente. Le lacrime spese, i silenzi consumati, e gli abbracci negati, le pagelle e i vestiti della festa e i pranzi di Natale e gli sguardi e i doni e i momenti insignificanti di tutta una vita si mettono in fila, e noi li contiamo, li rivediamo, li aggiustiamo, li comprendiamo, e li amiamo, tutti, per la prima volta. Guardiamo il cielo, e individuiamo in un paio di nuvole la forma dello sguardo dei nostri padri. Allora accade.
Il filo del ricordo srotola l'aquilone del nostro passato, ed è teso, luccicante al sole. Lacrime buone scendono, purificandoci.
E possiamo vivere davvero.







lunedì 3 marzo 2014

Dal Tevere: controcorrente, la grande bellezza




Mentre il film finisce
Mentre pensi di aver finito di vedere

resta un po' ancora, per favore.

E' in scena l'ultimo ciak. L'alba sul Tevere. Protagonista, il fiume della città eterna. Comparse, gli uomini e le donne che la abitano, alla ricerca di un pezzo di eternità, anche loro.
Percorri il fiume controcorrente. E lo so che non si fa, di solito. E lo so che la natura non lo vuole. Ma in un film tutto è concesso. In un film una città può diventare il mondo, un uomo l'umanità, un fiume diventa il tempo, che scorre mentre tutto corre.

Mentre il Tevere scorre, e i ponti e le statue e le cupole e le pietre e i lampioni e gli argini e i battelli scivolano via, come le fugaci figure umane che il tuo occhio individua, la luce si fa più chiara, il giorno sta sorgendo, un altro giorno dei milioni che ha visto Roma, che ha vissuto il mondo. I personaggi della storia che hai appena seguito svaniscono, figurine umane, anche loro, nell'immensità della Storia.
Quanto amore hai visto, quanto rancore. Dolore represso, amore buttato, rimpianti, ricordi, falsità e slanci. Lugubri feste, funerali frivoli, opulenza e sofferenza. Tutto senza senso, dunque? Tutto per niente?

Ma il Tevere sa. Tu ascolta l'intrecciarsi dei lamenti dei violoncelli e i canti dei gabbiani, e segui docile il corso controcorrente dei tuoi pensieri, che accordano in un unico canto le disarmonie delle vite, della vita, della tua vita. Spècchiati nel grigio asfalto dell'acqua, e viaggia nel tempo, nello spazio, cercando la tua alba.

Poi, vòltati, e riprendi il corso, tornando indietro. Sparirai nel buio. Ma l'ultima cosa che avrai visto sarà un angelo di pietra. E l'ultima cosa che avrai sentito saranno state queste parole:

Qualcuno viene, qualcuno bussa, qualcuno chiama il mio nome, io corro fuori scalzo, Sì, lui è venuto.

Adesso hai finito di vedere.



venerdì 24 gennaio 2014

Lario



Io sono il lago.
Io ho un nome di maschio. Ma sono pieno di acqua, che è femmina.
Io ho un nome di aria. Lario in greco vuol dire gabbiano. Ma sono in bilico fra terra e acqua. Fra monti e onde.
Io sono il Lario, che vola al contrario. E vola da una sponda all’altra, da un paese all’altro, nastro liquido, che separa e unisce.
Io sono il lago di confine, di ghiacciaio, di un Nord che ospita, include, cambia e accoglie.
La mia origine si perde nelle ere, ma la mia vita palpita nel cuore di ogni pesce che mi abita, nel respiro di ogni abitante delle mie sponde, nei riflessi di ogni sasso che trascino con me, in una danza infinita e sfinita.
Lecco le squame dell’agone, accarezzo l’occhio del pigo, cullo la grande testa del cavedano. E intanto gli canto una nenia che conosco da millenni. Loro si fidano, si addormentano. E sognano parole, che ogni tanto qualcuno mette in musica.
La Breva che mi fa il solletico sposta le foglie del salice proteso su di me, pettina i capelli della donna che sale sul battello,  increspa le rughe del pescatore che butta dentro di me le sue reti. E io, ridendo, gliele riempio, le sue reti, e gli insegno la generosità che nasce dalla pace.
Quando la nebbia mi chiude gli occhi, quando la notte mi copre con un lenzuolo nero, è allora che mi guardo dentro, e vedo da dove vengo, dove vado. Invento storie, e le sparpaglio nei sogni della gente che mi abita, perché le possano raccontare come se fossero le loro.
Quando il sole torna a splendere, allora riprendo il mio nome, volo nel cielo, e mi ci specchio dentro, colorandolo di verdazzurro.
Non importa come mi chiamano. Io sono maschio e femmina, antico e nuovo, aria, acqua, terra. Sono pesce e sasso, foglia e uomo.

Io sono te.