domenica 15 novembre 2015

Parigi, o cara


Perché ne ho sempre sentito parlare, da mia madre, che aveva un amico speciale in Avenue Gréard, in una casa con vista sulla Tour Eiffel, e per me scrivere il suo nome sulle cartoline aveva il sapore di mondi inesplorati.
Perché è stata la prima città visitata da sola, a 13 anni. Libertà, uguaglianza, fraternità, i primi volti di altre etnìe visti nella mia vita, il profumo acre del métro, di gomma e umanità.
Perché mi ci sono persa a 19 anni. Les Halles in costruzione, un walkman mastodontico che mi accompagnava ovunque, la solitudine e la scoperta, e quintali di cultura a sedimentarsi dentro di me, per forgiare le mie scelte.
Perché ci sono tornata molte altre volte, e per me è stato amore, fuga, slancio, poesia, lei così grigia e beige e verde, lei così luminosa e gotica, lei dai grandi parchi e dai piccoli cafés in cui rifugiarsi.
Perché ci ho portato i figli, ed è stato rivederla magnifica, splendente, una scommessa vinta sull'opacità del quotidiano.




E perché Parigi per me è sempre stata giovinezza, musica, fisarmoniche in un angolo della strada, e sguardi fieri di appartenere alla noblesse dell'Europa. E' stata, ed è, altro dalla Francia. Un'icona mondiale, la sintesi del gusto, della bellezza, della democrazia, dell'integrazione e della libertà a cui ogni uomo dovrebbe aspirare.
Perché in questi giorni ho pensato alla Siria, alla Nigeria, all'Egitto e a tutti gli altri posti che questa guerra subdola, infame, incommensurabile nella sua disumanità ha toccato. Ma niente, non posso smettere di pensare alla ferita di Parigi come a qualcosa di più mio.
Perchè Parigi mi ha insegnato a pensare, fremere, amare e sorprendermi per ogni giorno che vivo. E ora mi sta insegnando a essere umana, ogni giorno che vivrò.