sabato 30 maggio 2015

Take it easy, Brother Jackson

In punta di piedi sei entrato nella nostra vita.
Un consiglio di un amico, una sera, quando vedere la televisione aveva un senso, perché trovavamo amici che ci mettevano in tasca un disco, dicendoci "ascolta questo, a me piace, penso possa piacere anche a te", così, per amicizia, senza calcolo.
In punta di piedi, la tua voce.
Sommessa, discreta, così lontana dalle urla di quei tempi arrabbiati, la tua voce ci cantava, senza decantarla, la nostra età. Straordinariamente coetanea, la tua voce dava voce alle nostre stesse incertezze, ai sogni e ai rimpianti.
Da te abbiamo imparato ad accettare la sconfitta, a reagire con dolcezza, a non arrenderci mai. E abbiamo seguito il tuo sentiero di coerenza e impegno, guardandoti da lontano, incrociandoti dal vivo qualche volta, sempre considerandoti un punto fermo. Bob, Neil, Bruce, Warren, e te, Brother Jackson, il fratello maggiore che avremmo voluto.
http://www.mescalina.it/musica/live/27/05/2015/jackson-browne


La nostra città è un po' ruvida, ma qualcosa di buono ce l'ha. Un teatro bello e sontuoso, che tu vorresti anche in America, se non fosse che non si può costruire in serie, dici. E questo teatro ti accoglie sorpreso, mentre entri, in punta di piedi, a luci accese, come chiedendo permesso. Nessun annuncio roboante, fumi, raggi laser, sigla hollywoodiana. Solo tu, e i tuoi compagni musicisti.

In punta di piedi, la tua chitarra disegna accordi nell'atmosfera della sala, e intreccia una rete da cui pochi vogliono  liberarsi. E' la rete di una vita, e una vita che ha lasciato i segni, sul tuo volto, sui tuoi capelli, sulla voce, forse anche nella tua anima. Noi ti abbracciamo, con affetto; l'affetto non si può misurare né contenere, qualcuno esagera, scusaci, siamo così contenti di rivedere la tua faccia sorridente stasera, che vorremmo trattarti come il nostro juke box personale, chiederti i pezzi che hanno segnato la nostra vita, parlarti e ringraziarti.

Tu invece sembri emozionato, preoccupato. Ti senti stanco per il cammino, non ti sembra di darci a sufficienza, ti sembra strano che conosciamo Woody Guthrie, o che riconosciamo le tue canzoni al primo accordo, che il tuo mondo e il nostro siano rimasti così coesi, vicini, simili. Sembrate arresi, indifesi, tu e la tua chitarra, e i sogni che custodisci nel cuore sgorgano lentamente, quasi con fatica.

Ecco, Brother Jackson. Rilàssati. Sappiamo il suono che hanno fatto i nostri passi in volo; abbiamo dovuto lottare, e combattere per non dimenticare compassione e comprensione. Potremmo ridere di te, e di noi, che ci ostiniamo a seguire quel percorso. Ma continuiamo a sorridere, così luminosi e chiari. Vorremmo prendere la tua mano, e dirti take it easy, it's alright, ti capiamo, abbiamo anche noi i tuoi dubbi, e quei rimpianti, eccome se li conosciamo, ma, no, che non molliamo, e sappiamo cosa prendere, e cosa lasciare.

E tu, che hai sempre avuto le antenne dritte sui cuori di chi ti segue, lo capisci, alla fine. No, non cambi la scaletta, ma metti nel saluto tutta l'energia possibile, come un maratoneta arrivato nello stadio. Ti guardi attorno, sorridi a noi, stretti sotto il palco, a cantare e saltare e ridere con te, arrivato dopo un lungo cammino, attraverso il deserto, per trovarci qui, nel sole di questo teatro, a riscoprire il senso del viaggio.


E vogliamo crederci, che non siano le solite parole, quando dici "è un posto bellissimo, vorrei tornarci qualche volta". La tua mano sul cuore non mente.
Ti aspettiamo, Brother Jackson. Sitting on corner stones, facing our failures. Ma con la forza di guardare al futuro.










martedì 26 maggio 2015

These days

Vieni qui, figlia, che ti racconto quei giorni.
Erano giorni sospesi e incantati, presi in scacco fra sogno e ipotesi, con la realtà che si faceva strada fra i dubbi e le sicurezze.
Erano giorni di amicizie, e radio a scandire il sottofondo delle nostre emozioni, radio libere, ma libere veramente, e in mezzo noi, e i nostri discorsi pesi o leggeri, l'impegno e il solco di una coerenza solo immaginata.
Erano giorni di musica, nuova, che veniva da lontano, che più lontano non si poteva. La chiamavano West Coast, ed era così sorprendente seguire il fratello Jackson che cantava i tuoi stessi dubbi, e le paure, e le emozioni, così sorprendente, che ti chiedevi come diavolo riuscisse a leggerti dentro, lui, a così tanti chilometri di distanza. A leggere l'inespresso desiderio di appartenere a un solo, grande mondo, a una sola, profonda umanità, a un solo, inquieto modo di essere, di vivere.
Erano giorni di pensieri, di aperture a prospettive inedite, e a quella voglia di cambiare tutto, che hai voglia a dire che ce l'hanno tutti i ventenni, ma no, non credere, quei ventenni ce l'avevano più degli altri, perché sapevano di avercela prima di tutti gli altri.
Erano giorni di amore e di abbandoni, di magie e di semplicità, di incanto e di mistero. Giorni di una strada tutta da consumare e vivere.

Vieni qui, figlia, che ti porto ad ascoltare Brother Jackson.
Forse, al primo accordo, capirai cosa sono stati, quei giorni.