sabato 19 marzo 2011

il sale sui solchi

Quando c’è ghiaccio su una strada, spargere il sale è un gesto d’amore.
Quando c’è una ferita sulla pelle, spargere il sale è violenza.
Quando c’è l’acqua nella pentola, spargere il sale è saggezza.
Ma quando ci sono orecchie per ascoltare e sentire, il sale può essere tutto questo.
Amore, violenza, saggezza.
Yanez è intriso d’amore. Gronda amore da tutti i solchi, e andrebbe proprio messo su vinile, per poterli vedere di persona, quei solchi, e vederli che si sfrisano giorno dopo giorno, rughe sulla superficie come sulle nostre facce.
L’amore per la vita, che esplode nel carnevale, metafora di un’esistenza passata a metter su una maschera, senza toglierla neanche con se stessi.
L’amore per l’eterno gioco dell’osteria, di qualunque latitudine, carte zanzare balere vino birra e canzoni, sguardi incrociati, tatuaggi, infradito, chiacchiere e giudizi tagliati col fulcinitt.
L’amore per la musica, quella che si sposa una volta nella vita e non si può più tradire, perché neanche lei tradirà mai.
L’amore per un uomo o per una donna, perché possono passare i loro nomi, ma non la sostanza, l’essenza, fatta di attese e desideri e silenzi e sacrifici mai detti, che pesano, e insieme fanno sentire leggeri.
E l’amore per la natura, che è fiore onda vento cipresso, e mai la totalità, ma sempre il particolare, perché noi uomini sappiamo amare l’universale solo attraverso il particolare.



Yanez è intriso di violenza, anche. Parole e suoni che lacerano il cuore, evocano ricordi mai sopiti, rimpianti con cui non abbiamo mai fatto pace davvero.
La violenza della guerra, di tutte le guerre, cantate da chi scrive con le due mani per chi le mani le ha perse, o per chi ha perso la vita. E non si sa quale sia la scelta migliore.
La violenza dei tradimenti, vissuti o subiti, immaginati o compiuti.
La violenza di giorni e notti passati a chiedersi se la nostra vita sarebbe stata migliore, se non fossimo saliti su quell’onda, a cavalcarla e lasciarci spruzzare della sua acquadolce.
E la violenza di una polaroid che sbiadisce, insieme all’urgenza di fissare con l'acido speciale delle parole e delle lacrime quelle immagini.



Ma Yanez è intriso di saggezza. Quella di un uomo che si avvicina ai cinquant’anni della sua vita cercando ancora di capirla con lo stupore e la trepidazione di un ragazzo.
La saggezza di un profondo ascoltatore, che scende nell’intimo di chi avvicina per rubargli i segreti e condividerli.
La saggezza di un asceta epicureo, che mescola la capacità di cogliere il respiro del vento allo struggimento per non riuscire a liberare del tutto il proprio spirito dalle urgenze della vita.
La saggezza di un viaggiatore della vita dal bagaglio leggero e dal passo pesante, che sa quando e soprattutto dove fermarsi, nell’abitacolo di un camper come sul tetto di un ripostiglio, nei cessi di un autogrill come nell’anticamera di un potente, per tenere stretta una polaroid che gli ricorda da dove viene, per indicargli dove andrà.





Logico, che con questo disco ci si senta amati, violentati, accuditi e scossi.
Logico, che i suoni si fondano alle parole.
Logico, che uno strato della pelle si strappi. Ma fa un gran bene.