oggi vorrei regalare il sorriso di giovanna.
crede ancora che sia gesù bambino a portare i regali. e ieri sera sistemava i cuscini del divano, metteva biscotti e acqua per gesù e gli angioletti, e ha scritto in un foglio a caratteri colorati BUON NATALE GESU'!
ho portato via i biscotti lasciando qualche briciola. ho bevuto l'acqua. ho scritto un bigliettino di risposta.
e ora attendo l'illuminarsi del suo volto, riflesso del mio volto di bambina di nove anni.
mi manca mia madre. lei spegnava tutte le luci. lasciando solo quelle di albero e presepe. metteva un disco con 'tu scendi dalle stelle'. e lasciava la porta aperta alla fede, che è soprattutto stupore.
se quando zoppico e inciampo non cado mai, è grazie anche a questi natali di infanzia.
venerdì 25 dicembre 2009
sabato 12 dicembre 2009
mercoledì 9 dicembre 2009
dov'è il cuore?

e facciamo che è natale, e un concerto a tema ci vuole.
e facciamo che 'sto giro non ho proprio proprio nessun dubbio: c'è Capossela agli Arcimboldi, e con ampio anticipo mi assicuro la seconda fila centrale, ché non ne posso più di solo show visto in un angolino.
e mettiamoci pure che non mi aspetto niente di diverso da quanto immagini, e che già il solo show mi ha regalato ampie soddisfazioni.
però quando c'è di mezzo il cuore, e c'è di mezzo il natale ruvido riveduto e corretto vinbrulé da Vinicio, la sorpresa è in agguato.
ché vedere il Wurlitzer agghindato come dopo una nevicata, il banco mixer con le lucine rosse intermittenti, Jessica nei (corti) panni di una babbanatale tatuatissima, un braciere con fuoco (finto) ma con un pentolone (vero) di vino a scaldare, Vinicio con una giacca di paillettes rossa, un organo di Barberia passare fra le file suonando un canto natalizio, tanto per cominciare, è un regalo fatto e finito, infiocchettato e consegnato zero spese di spedizione.
però, la vera strenna è sentire un concerto perfetto, senza sbavature, in miracoloso equilibrio fra malinconia ed edonismo, come dev'essere per ogni carpediem che si rispetti.
la filosofia di Vinicio è precaria e granitica insieme: visto che non ci sono altre certezze se non l'amicizia e il cuore, allora, mettiamoceli entrambi ovunque. e riempiamo di senso la nebbia e il freddo del nostro dicembre, per scaldarci l'anima, e per tenerci da parte almeno le risate e le emozioni. dentro, nel pentolone, restano in caldo belle musiche, parole buone, luci e visioni, tutte le visioni di un'infanzia eterna. fino a sottrarre tutto, e finire (nel bis, a tendone chiuso) nel proscenio con un ombrello e un suono essenziale, a cantare nella pioggia, sotto uno scroscio di schiocchi di dita. magia e meraviglia. con fiocco rosso e bigliettino. e lui che mima, per ringraziare, il suo cuore, che si allarga fino a contenere tutti.
il suo cuore, che vive nei nostri sorrisi.
lunedì 30 novembre 2009
cecco e fabrizio
medioevo e de andré, oggi.
il lettore cd, i clandestini con gli occhi e le orecchie aperte, la pioggia battente fuori, il tepore della musica dentro.
e le storie del povero re carlo martello e della sua donzella puttana, del miché che si uccide per amore, della donna di geordie che supplica di ucciderlo quando sarà vecchio, di marinella e del suo re senza corona, della moglie del signore di valois che fila la lana, invano aspettando il ritorno dell'eroe, tornano ad animarsi e a resistere al tempo.
ma soprattutto, rivive cecco, il primo autore che ebbe coscienza di poter costruire una maschera di sé, metà gioco letterario, metà terapia autoanalitica e catartica. come anche de andré fece della sua immagine, sospesa fra colto musicista e appassionato cantore degli ultimi.
i clandestini capiscono e meditano. non capita tutti i giorni, ascoltare una canzone di angiolieri-de andré...
venerdì 20 novembre 2009
scià, ca ta nèti
e poi c'è la palmira:
tuta rossa, cappello da baseball in tinta,
occhiali spessi dentro un mare di rughe.
sempre seduta al tavolo della sala da pranzo
(dicono che dorma anche lì),
con un mazzo di carte in mano.
parla rigorosamente in dialetto:
'ta giùgat a scupa? o a briscula? vèn scià, ca ta nèti...'
chiunque lei incroci, non saluta mai,
né chiede altro:
vuole ripulire l'avversario,
e in genere ci riesce.
implacabile dietro rughe e occhiali,
sferra i suoi fendenti,
e alla fine stravince,
e chiede:
'ta voeuret la rivincita?'
(chissà perché, lo dice in italiano).
un'intera vita a rimandare.
e ora, finalmente,
il tempo di giocare.
tuta rossa, cappello da baseball in tinta,
occhiali spessi dentro un mare di rughe.
sempre seduta al tavolo della sala da pranzo
(dicono che dorma anche lì),
con un mazzo di carte in mano.
parla rigorosamente in dialetto:
'ta giùgat a scupa? o a briscula? vèn scià, ca ta nèti...'
chiunque lei incroci, non saluta mai,
né chiede altro:
vuole ripulire l'avversario,
e in genere ci riesce.
implacabile dietro rughe e occhiali,
sferra i suoi fendenti,
e alla fine stravince,
e chiede:
'ta voeuret la rivincita?'
(chissà perché, lo dice in italiano).
un'intera vita a rimandare.
e ora, finalmente,
il tempo di giocare.
sabato 31 ottobre 2009
il silenzio delle menti pensanti

ma più di tutto mi piace il silenzio: non quello connivente dell'adulatore, che lascia parlare, e intanto reprime opinioni e obiezioni.
né quello assente del distratto, che guarda senza seguire, e intanto segue traiettorie che lo portano nel mondo_fuori.
ma neanche quello bolso dell'opaco, che ascolta senza capire, e intanto perde il filo.
più di tutto mi piace il silenzio della mente pensante, che medita mentre capisce, e intanto confronta, accorda, discorda, riannoda e scioglie, dubita, obietta, riflette e si specchia nella complessità della realtà.
è un piccolo miracolo che ogni tanto avviene: un'alchimia fra chi parla e chi ascolta. il silenzio sospeso della mano che fissa su carta quello che gli occhi dirigono, comandati dalla mente che ordina caos e scoperte.
la Bellezza dei volti fiamminghi accostati ai fotogrammi del 'Settimo sigillo'. la Memoria civile scoperta attraverso i versi dei 'Sepolcri'. la Caducità della vita che balugina dietro l'ansia di infinito di Dante.
per ogni stazione di questo percorso, un silenzio diverso. e, insieme, la netta percezione che la navigazione potrà essere difficile, ma che navigare è il senso dell'andare.
mercoledì 14 ottobre 2009
a bordo. e dove?
da un mese è iniziato il viaggio, di nuovo:
diciannove nuove facce di clandestini, a condividere otto ore alla settimana,
e già qualche stupore: domande spiazzanti, faccette sveglie nonostante il maldimare, la xamamina contro correnti greche contrarie, e la stanchezza.
ma quando tutto si tiene, succede che anche il mondo_fuori si rispecchi in questo microcosmo. e succede che un immenso dolore, senza senso apparente, si rifletta nelle parole di Dante. e succede che le mie parole, spese per spiegare le sue, scendano come luce sulle menti di chi prima non ne aveva chiaro il significato. ma, soprattutto, scendano come balsamo sul mio cuore ferito e smarrito.
'state contenti, umana gente, al quia: ché, se possuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria...'.
la rassegnazione per una spiegazione inconcepibile da trovare razionalmente, e quindi lo sperdimento per l'impossibilità dell'equilibrio fra cuore e ragione, diviene, nella fede, ac_contentarsi del fatto che le cose, nel mondo, in questo mondo, hanno un perché, una finalità anche.
un motivo insondabile, indescrivibile, incomprensibile qui. ma che darà felicità altrove. dove?
Paolo, undici bellissimi anni, un mese di scuola media vissuto con entusiasmo, la vita divisa fra cartoni, amici, servizio da chierichetto e pallanuoto. il futuro davanti, tutto intero, una promessa splendente di vita e di amore.
un pomeriggio, solo in casa, pranza, rigoverna, rassicura il nonno al telefono, scrive uno dei tanti bigliettini per la mamma. grazie mamma per quello che fai, ti voglio bene. come al solito,lasciato sulla scarpiera, proprio il primo posto dove lei arriverà.
poi, gioca. ma non riuscirà a finirlo, quel gioco. e non sentirà neanche l'urlo della mamma, che lo vedrà appeso, strangolato.
perché?
l'omelia lo dice chiaramente, che non è possibile trovarlo, il perché.
ac_contentarsi che esiste, però, si può fare. che esiste una forza esterna al bene, che vede la nostra caducità e la porta a compimento. ma che esiste anche il bene, che in un altro tempo, in un altro spazio, trasforma lo smarrimento in cammino, la lacrima in sorriso, la solitudine in com_passione.
mentre spiego Dante, penso a Paolo, alla cassettina con le sue ceneri, alle rughe dei nonni bagnate dal pianto, agli abbracci dei genitori. e, nel silenzio della navigazione, respiro anche per lui.
il quia, è troppo grande per starci in una cassettina. il quia, da qualche parte, ci dev'essere. ma dove?
http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cronaca/95047_lultimo_saluto_a_paolo_una_perla_da_ricordare/
diciannove nuove facce di clandestini, a condividere otto ore alla settimana,
e già qualche stupore: domande spiazzanti, faccette sveglie nonostante il maldimare, la xamamina contro correnti greche contrarie, e la stanchezza.
ma quando tutto si tiene, succede che anche il mondo_fuori si rispecchi in questo microcosmo. e succede che un immenso dolore, senza senso apparente, si rifletta nelle parole di Dante. e succede che le mie parole, spese per spiegare le sue, scendano come luce sulle menti di chi prima non ne aveva chiaro il significato. ma, soprattutto, scendano come balsamo sul mio cuore ferito e smarrito.
'state contenti, umana gente, al quia: ché, se possuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria...'.
la rassegnazione per una spiegazione inconcepibile da trovare razionalmente, e quindi lo sperdimento per l'impossibilità dell'equilibrio fra cuore e ragione, diviene, nella fede, ac_contentarsi del fatto che le cose, nel mondo, in questo mondo, hanno un perché, una finalità anche.
un motivo insondabile, indescrivibile, incomprensibile qui. ma che darà felicità altrove. dove?
Paolo, undici bellissimi anni, un mese di scuola media vissuto con entusiasmo, la vita divisa fra cartoni, amici, servizio da chierichetto e pallanuoto. il futuro davanti, tutto intero, una promessa splendente di vita e di amore.
un pomeriggio, solo in casa, pranza, rigoverna, rassicura il nonno al telefono, scrive uno dei tanti bigliettini per la mamma. grazie mamma per quello che fai, ti voglio bene. come al solito,lasciato sulla scarpiera, proprio il primo posto dove lei arriverà.
poi, gioca. ma non riuscirà a finirlo, quel gioco. e non sentirà neanche l'urlo della mamma, che lo vedrà appeso, strangolato.
perché?
l'omelia lo dice chiaramente, che non è possibile trovarlo, il perché.
ac_contentarsi che esiste, però, si può fare. che esiste una forza esterna al bene, che vede la nostra caducità e la porta a compimento. ma che esiste anche il bene, che in un altro tempo, in un altro spazio, trasforma lo smarrimento in cammino, la lacrima in sorriso, la solitudine in com_passione.
mentre spiego Dante, penso a Paolo, alla cassettina con le sue ceneri, alle rughe dei nonni bagnate dal pianto, agli abbracci dei genitori. e, nel silenzio della navigazione, respiro anche per lui.
il quia, è troppo grande per starci in una cassettina. il quia, da qualche parte, ci dev'essere. ma dove?
http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cronaca/95047_lultimo_saluto_a_paolo_una_perla_da_ricordare/
domenica 13 settembre 2009
finestate

gli alberi attorno all'arena si velano di giallo:
il primo segno di una finestate.
nel cielo, un filo di nuvola, e di fresco.
ma è ancora tempo di sandali, e di stare all'aperto, e bruciare le energie, cantare, forse ballare, di sicuro sognare, e trasmettere idee, sogni, speranze, a chi deve ancora fare un po' di strada.
io immagino così i sessantanni. non è ancora autunno, eppure lo si sente alle porte. settembre è la sua diretta rappresentazione. e questo concerto di Patti Smith, l'undici settembre 2009, è la sua metafora.
lei tra poco avrà sessantatrè anni. ma la voce, l'energia, il magnetismo, il calore non subiscono incrinature, quando la vita è stata spesa in un'unica, forte direzione.
quando ho ascoltato la prima volta Patti Smith, ero una ragazzina. mi incantava la sua capacità di raccontare i sentimenti e gli ideali, e la sua presenza fragile e determinata era stato uno dei primi modelli di femminilità per me.
così, quando il concerto si è aperto con 'Frederick', si è aperta una porta nel tempo, e mi è scorso davanti il tempo della mia vita, le scelte, i dolori e le speranze. un largo sorriso mi si è sciolto dentro. e ho provato un'immensa gratitudine per la vita.
poi, Patti ha fatto il resto. ha parlato tanto, ha preso il pubblico e l'ha rivoltato come un calzino, piegandolo alla sua forza, e alla fine se l'è trovato tutto in piedi, ai suoi piedi, incollato al palco, zero transenne e un'unica onda umana che vibrava delle sue parole e delle sue note.
'use your head! seize the moment! we are the future, and the future is now!'
people have the power. lei ci crede ancora, e lo dimostra. come quando invita sul palco una ragazzina a ballare con lei, e la indica a tutti dicendo 'the future!'.
come quando parla della sua visita al duomo di cremona, 'è così vuoto, e solo...dove sono le persone? entrate nel duomo...non solo per religione...anche solo per ammirare le belle cose ci sono dentro, e sedersi, e pensare, magari non telefonare, ma anche mandare qualche sms...fatelo vivere di nuovo! il duomo vi aspetta!'
come quando si lancia in un pezzo in bilico fra reading e canzone, e Tom Verlaine, immobile e ascetico nel suo angolino, la segue coraggiosamente ricamando suoni sulla perdizione e la salvezza di un ragazzo abbandonato.
o come quando, alla fine, sembra non voler più andarsene, e invita i genitori dei bambini vicino al palco ad allontanarsi per non 'ferire quelle piccole bellissime orecchie'.
il sorriso della ragazzina che ero si allarga, si apre, e resta.
l'estate potrà anche finire. posso anche aspettare l'autunno, e poi l'inverno. ma finché avrò musica, avrò vita.
mercoledì 2 settembre 2009
da est a ovest: irlanda

per ogni viaggio di vera scoperta si va da est a ovest, a vedere dove l'orizzonte finisce, a scoprire l'arancione eterno che ribalta il grigio della terra.
e verso ovest si arriva dal mare, qualche volta, la luce sul mare atterrando su dublino lo ricorda, e ricorda i tempi in cui il mare, qui, non c'era, e i celti si sono fermati nella loro marcia perché oltre non si poteva andare.

oltre partivano e non tornavano, e allora tanto vale fondare qui una civiltà, dei miti, degli eroi, una lingua. misteriosa e gutturale. viva. gaeltacht. nel donegal, nel burren, nel connemara, ci sei dentro, le scritte lo indicano, le scritte non parlano l'inglese dei nuovi conquistatori, quelli che si sono presi i green fields e le donne e i costumi e tutto.

e lo scenario è altrettanto misterioso e vivo. landa, pecore a punteggiare il verde, mucche e cavalli, e, vicino all'oceano, solo pecore, e capre, che si avventurano a sfidare strapiombi sulle scogliere, e riposano sul ciglio di strade strette e veloci.
e le case sparse ovunque nella campagna, torba e muschio, e rari cespugli, vento, nuvole, e l'oceano che respira, altamarea, bassamarea, seguendo il ritmo della luna, anche quando la luna non si vede, finché questo mondo durerà.

scogliere e baie, anfratti e penisole, colori di fiori visti solo sui libri, ma più accesi di un qualsiasi ritocco di photoshop. il cielo cangiante a sottolinearne la forza, il mare ad adeguarsi a quella forza. la forza della natura.

una fede che qui sembra vissuta davvero. sembra che la forza di san patrizio che scaccia i serpenti, che scala il kroagh, converte e vince, sia rimasta fra la gente, indurita dalle intemperie del tempo e dei tempi, ma calda di vita. e fede nella forza della condivisione, dell'amicizia; della musica, che è condivisione e amicizia. le storie della musica qui parlano di lontananza, partenza, emigrazione, povertà, soprusi, ma anche di speranza, amore, gioia, promessa. in un equilibrio sul filo dell'ironia e della tragicità, che permette di fuggire la retorica. quello che fa grande questa musica; quello che fa grande questo popolo.

e poi il cielo; insieme al verde, l'elemento naturale più ricco e cangiante. le nuvole rincorrono il vento, obbediscono al suo ritmo, ci fanno l'amore, respirano con lui, più potenti del sole di giorno, o della luna di notte. il cielo porta una pioggia fine, o piccoli spruzzi, o violente docce d'acqua, o getti a più direzioni. ma porta, subito dopo, una lama di sole che taglia in due l'oceano, o un pennello di smalto che vivifica il verde, ma anche i sorrisi della gente. a ricordare che è vita anche questa, anzi, soprattutto questa: pioggia e sole, ma soprattutto vento.

martedì 1 settembre 2009
hallelujah

un pub di legno chiaro, diventato scuro con gli anni e con l'alito di guinness e fumo degli avventori.
un pub di doolin, di fronte all'atlantico.
un pub di sera d'agosto irlandese: dentro, caldo e rumore; fuori, un enorme vaporizzatore che spruzza una nebbia fina e bagnata, che non si sa se venga dal burren o dall'oceano, ma che cir_confonde idee e corpi.
un pub in cui pullman voraci scaricano frotte di giovanotte australiane o di pensionati tedeschi.
un pub con due violini e due chitarre e tanta musica, anche se le giovanotte e i pensionati sembrano essere più interessati alla birra o al whisky o a tutti e due.
poi, in mezzo alle chitarre e ai violini, si siede un uomo, capelli e barba bianchi, e l'aria di chi sa.
canta una canzone su una donna che aveva figli coraggiosi come il loro padre, che hanno lottato per quattro prati verdi.
una a una, le bocche di tutti si chiudono. ancora qualche distratto chiacchiera, sordo più dentro che fuori, chissà.
però poi l'uomo intona 'hallelujah'.
e tutto il pub tace.
forse le australiane la conoscono per shrek, forse gli altri pensano sia un inno di chiesa.
però il silenzio è totale, e 'hallelujah' risuona da tutti i tavoli, da tutte le bocche ebbre di whisky o di guinness, cuce insieme corde vocali irlandesi tedesche francesi italiane americane australiane spagnole, e sembra posarsi sui boccali vuoti, tracimare oltre il pub, mescolarsi al vapore bagnato, correre col vento oltre l'oceano, e finire in canada, là, di fronte, per tornare da dove è partito, nella tower of song, dove vive da sempre e per sempre.
riportando tutto a casa, insieme al 'grazie' e all''alleluia' di tutti per essere lì, per essere in quel pub, per esserci in quel momento, per essere vivi.
lentamente, l'uomo si alza, e, arrancando con dignità sulla sua gamba e sulle sue stampelle, esce dal retro, perdendosi nel vapore.
portando con sé la sua voce. però. e tutta la magia dell'irlanda.
giovedì 6 agosto 2009
moondogs e l'alpe
metti 1225 metri sul mare
e 1000 metri sul lago di como
e mettici pure la luna piena nel cielo chiaro
metti affettati formaggini polenta maialino spezzatino crostata e vino
e mettici chiacchiere tranquille
poi, metti un piccolo palco che dà le spalle alla luna
e sopra mettici due poi tre poi quattro poi cinque amici che suonano
mettigli in mano chitarre e percussioni
e nel cuore la voglia di suonare e cantare
metti attorno a loro una cinquantina di persone
che mangiano e parlano piano
e ascoltano la musica
e cantano anche loro, tutti insieme.
infine, metti ricordi emozioni attese sguardi sorrisi
e falli guidare dalla musica.
se mescoli bene, avrai quella che si candida come una delle notti più belle dell'estate.
e 1000 metri sul lago di como
e mettici pure la luna piena nel cielo chiaro
metti affettati formaggini polenta maialino spezzatino crostata e vino
e mettici chiacchiere tranquille
poi, metti un piccolo palco che dà le spalle alla luna
e sopra mettici due poi tre poi quattro poi cinque amici che suonano
mettigli in mano chitarre e percussioni
e nel cuore la voglia di suonare e cantare
metti attorno a loro una cinquantina di persone
che mangiano e parlano piano
e ascoltano la musica
e cantano anche loro, tutti insieme.
infine, metti ricordi emozioni attese sguardi sorrisi
e falli guidare dalla musica.
se mescoli bene, avrai quella che si candida come una delle notti più belle dell'estate.